Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



mercoledì 2 novembre 2011

La colomba e il cielo stellato


La colomba di Kant, che nel vuoto crede di volare libera e cade nell’illimitato, perché per il loro volo le ali hanno bisogno della resistenza dell’aria (e del mondo).

L’aria è, secondo l’antica analogia, l’immaginazione: ostacolo e mezzo, velo di Maria nella tradizione cristiana e cristallo brillante come stella nel versetto della Luce, avvolgente e inafferrabile. Il volo lineare della colomba è però il moto della volontà del cuore, in cui si esprime l’archè o comando spirituale del mondo (la colomba è lo Spirito), la scaturigine avventurosa della profezia e della conoscenza, un senza perché superiore all’intelletto (e in cui trova pace, una pace che non è arresto, ogni perché?) a cui si resta fedeli in un rinnovato timore-stupore.

Il vuoto è la possibilità che tenta il destino profetico come suo annichilimento, suo nulla, l’angoscia del timore scaduta ad angoscia della plane parmenidea, il sentiero tortuoso dei dikranoi che oscillano come ubriachi (è l’ubriachezza delle passioni) tra i contrari dell’essere e del non essere.

In effetti il destino profetico si fonda su un rischio essenziale alla misericordia che crea, alla sympatheia divino-umana: che l’inconsistenza creaturale, lo havel havalim dell’immaginazione cosmica, dell’aria, sia male; e che questo male sia, kafkianamente (e qui Kafka è il massimo esegeta – gnostico – di Kant), il cielo stellato del bene, l’orizzonte in cui il cuore, custode della legge morale, è sempre sul punto di dimenticarsi, di negarsi, di smentirsi.

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