Persino Vico, che pure ha saputo penetrare genialmente il nous poetico, l’intelligentia cordis arcaica, cade nel tranello di vedere nei miti greci, come un illuminista di qualsiasi tempo (filosofo pagano o apologeta cristiano), proiezioni legittimanti delle passioni più vili. Questa distorsione della prospettiva procede sicuramente dalla reale e profeticamente necessaria incompatibilità tra la rivelazione abramica e le rivelazioni “gentilesche”. Ma i miti greci, come quelli indiani e “politeisti” in genere, esprimono la ricchezza simbolica del mondo: la vasta enciclopedia di devianze e crimini che il patrimonio di quelle storie ci offre allude al chorismòs, allo scarto tra il fragile e nobile temenos umano e l’abissale, aperta vividezza dell’aion divino. Come dice Wendy Doniger, mentre per Freud i sogni rinviano alle profondità della vita sessuale, per la sapienza vedica e postvedica i sogni erotici alludono – come il Cantico dei Cantici – alle profondità della vita divina.
giovedì 11 marzo 2010
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