Il contadino ignorante davanti alla porta della Legge pensava di dover essere autorizzato ad entrare. Dimenticava la propria autorità di figlio di re, intimidita dai quattro stracci dell’angelo che custodiva, malizioso e quanto celeste, l’ingresso destinato soltanto a quell’uomo? Sì e no. L’ignorante mostrava una sua saggezza profonda, spirituale, nell’attendere. Nel rimbecillirsi a improvvisare tentativi di corruzione, a contare i peli della barba e le pulci della divisa del custode – questa è, ad occhi apocalittici, la cultura! La storia! Contare le pulci sulla tunica lacera dell’angelo della storia – e cercare di ingraziarselo nel tempo, che sembra sempre più inutile, del già-e-non-ancora. Ma perché resti tempo di attesa, tempo di mezzo, la tensione non può spegnersi, non può placarsi: estenuata, rimbecillita, sbriciolata, sta sempre lì – e mostra nei suoi gesti, sempre sul punto di farsi gesticolazioni da Sibilla nella bottiglia, la Verità che vive custodita oltre la porta, che sfolgora soltanto per quell’uomo, soltanto per la sua morte, per la sua sconfitta. Il contadino ignorante vince sull’angelo, più ignorante di lui, lasciandosi gabbare dalla messinscena sacra della religione, dal gioco inane, terribile, ironico dell’Attesa di Colui che sempre è.
giovedì 4 marzo 2010
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