Il cosiddetto “laicismo” ha fatto al cristianesimo ciò che il cristianesimo ha fatto all’ebraismo. Vedere il laicismo come una religione (o meglio come l’estrema caduta kenotica della rivelazione cristiana) aiuta a schiarirlo proprio in quanto lo rende più complesso. La laicità cristiana è come la preservazione delle causae secundae: ha senso solo in Christo, nella soggettività rinnovata dal nous di Cristo; di per sé (non-trinitariamente) la debolezza ontologica delle creature, a contatto con l’eversione cristiana (la sua potenza distruttiva attivata contro l’ordo ebraico), con la sua sempre rinnovabile carica di eschaton, di messianismo totale, genera lo screziato (e spesso inconscio, a causa del pathos ottundente della rottura) soggettivismo laicista, il “moderno” come anti-cristianesimo interno ed esterno al cristianesimo. Ma il laicismo, che è l’unica autentica religione universale dell’occidente e, tramite l’occidente, del mondo, non può che vivere dei margini (ed esotericamente ai margini) del cristianesimo, come il cristianesimo ha vissuto e vive dei margini dell’ebraismo, e quindi attraverso di essi può prendere coscienza di sé, riflettere su di sé, vedere in trasparenza il proprio mito (nella misura in cui è anch’esso un mito).
Quando un cristiano ritiene la rivelazione trinitaria più definitiva di quella ebraico-islamica (l’islam, se non nella misura in cui è stato colonizzato-ospitato dall’occidente “cristiano”, non ha assunto l’altro-da-sé in modo intimamente straziato, tragico), dovrebbe anche guardare, ad esempio, alla Rivoluzione Francese quasi come alla stessa Croce di Cristo – inaccettabile e (per questo) salvifica. Del resto, il pathos rivoluzionario, che è appunto alienante, può esser fatto decantare solo nel tragico, nella consapevolezza in sé lacerata dell’altro in quanto altro.
Quando un cristiano ritiene la rivelazione trinitaria più definitiva di quella ebraico-islamica (l’islam, se non nella misura in cui è stato colonizzato-ospitato dall’occidente “cristiano”, non ha assunto l’altro-da-sé in modo intimamente straziato, tragico), dovrebbe anche guardare, ad esempio, alla Rivoluzione Francese quasi come alla stessa Croce di Cristo – inaccettabile e (per questo) salvifica. Del resto, il pathos rivoluzionario, che è appunto alienante, può esser fatto decantare solo nel tragico, nella consapevolezza in sé lacerata dell’altro in quanto altro.
Nessun commento:
Posta un commento