Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 29 aprile 2010

Metaformosi del Golem: magia, alchimia, tecnica/3


Le petites perceptions di Leibniz, che Sacks accosta fuggevolmente alla propriocezione: flusso di messaggi su una tremula frontiera che rimane sempre sullo sfondo, confusa, materia prima da cui fiorisce la differenziazione conscia. Il corpo sottile ha forse a che fare con questo livello psico-corporeo, su cui agisce la suggestione di una malattia o di una fantasia carica di fede, cioè magica.

L’africano che trascriveva per terra le linee, il ritmo delle parole del bianco per non esserne sopraffatto. Continuamente il corpo e in particolare l’occhio – organo del tatto spirituale, sottile – ferve di un’attività subliminale che è quindi, nell’uomo ordinario, esposta quasi senza schermi alle correnti immaginali dell’ambiente, anch’esse incarnate in questa attività corporea fluida e proteica.

Il mago, come a diversi livelli e con diverse modalità chiunque voglia sottrarsi alla passività, al sonno del condizionamento sociale ordinario (ad esempio il politico, il demagogo manipolatore, oggi il tecnico della propaganda, del marketing...), lavora anzitutto a dominare, ad assimilare questo livello di piccole percezioni subliminali attraverso la volontà e la fantasia. Questa ascesi prepara la costruzione del doppio che, come quello inviato da Dio ad Antonio nel deserto per indicargli la via, è la chiave d’accesso all’esoterismo come diplomazia (diploûn mathos, duplice conoscenza). La semplicità, il ritorno all’Uno o Vuoto è mediata da questa duplicità non-duale nella quale l’asceta, divenuto mago, può smarrirsi. (Discorso di Adamo nel Talmud: non create un altro uomo, affinché il mondo non soccomba all’idolatria. Zolla: forse è l’ingiunzione di non proiettare nell’estasi un angelo o doppio che venga poi associato a Dio. Pare sia stata questa la “recisione dei germogli”, l’apostasia di Ben Avuyah: vide Metatron come un secondo Dio; forse c’è allusione alla letteralizzazione del mundus imaginalis – ad un estremo abbiamo un dualismo di tipo manicheo, all’altro l’ateismo libertino e di Feuerbach che ha una comprensione limitata del Deus creatus).

Intuizione di Illich sulla teologia sacramentale come origine della tecnica (i sacramenti come instrumenta divini). Idea complementare di W. I. Thompson: il sacramento è “segno esterno di uno stato interiore”; il système technicien è la letteralizzazione (spada di Damocle della magia, in generale della psiche) di questa concezione: il culmine è la cibernetica e il suo massimo sogno, la “realtà virtuale”.

I jinn ribelli rinchiusi da Salomone nei vasi di bronzo: esseri immaginali di fuoco e aria, sono costretti a ripetere un solo messaggio, quello della loro sottomissione, a chi per audacia o ventura infranga i sigilli di piombo. Ma la loro obbedienza è ambigua come il loro status ontologico: esaudiscono desideri letteralizzandoli e svelandone quindi la potenza distruttiva (il nafs, l’ego è il supremo nemico) o manifestano – ad esempio nella storia del pescatore e del demone (‛ifrīt) – una volontà omicida, vendicativa, per certi versi elementare, ma anche esito ultimo e meccanico di una psicologia da schiavo (se fosse stato liberato nei primi secoli il genio avrebbe colmato di doni il pescatore, ma col passar del tempo l’impazienza di beneficare si è trasformata in rancore e poi odio assoluto nei confronti dell’intero genere umano). Il pescatore truffa il demone solleticandone la vanità e inducendolo a rientrare nel vaso – così potrà chiuderlo di nuovo col suo coperchio: il potere del jinn è neutralizzato quando lo si riconduce ingegnosamente nel suo vaso, nel veicolo apparentemente inanimato della sua espiazione. L’energia mortale liberata può essere indotta a rientrare nel segno bronzeo che la tratteneva in fondo agli abissi.
Salomone ha fatto un incantesimo agli esseri sottili, elementari, daimonici: li ha congelati in automi, in segni stereotipati che poi ha gettato negli abissi del mare, dell’inconscio. Le generazioni dell’evo moderno, più o meno quando si raccolse e ordinò il materiale delle Mille e una notte, vollero trarli in superficie – o semplicemente così accadde loro, perché il tempo era maturo: ma o i jinn reclusi si dichiarano servi – robot – e diventano la chiave facile e pronta del potere dei loro padroni, o scompaiono dopo aver attestato la loro penitenziale docilità, oppure minacciano con la loro irrazionale ferocia omicidia. La letteralizzazione dei desideri è la potenza distruttiva della magia – della techne: solo il saggio pescatore, umile erede del Re Mago, sa ingannare il demone chiedendogli di ritornare allo stato di virtualità sottile ed ermeticamente sigillata.
Noi non possiamo dialogare con la macchina.
L’automa elettronico, il golem cibernetico, va contemplato come homunculus, usato come servo e decostruito cancellando dalla sua fronte la alef divina, cioè proprio quel principio di “intelligenza” e comando che gli conferisce una relativa autonomia, un simulacro di vita-nefesh organizzata. Poiché il nefesh trasferito su di esso è comunque un fenomeno entropico che però produce per noi informazione, ordine, sintropia – è necessario mortificare ciò che di per sé è morto e, lasciato a se stesso, moltiplicherebbe la morte e l’inganno, la menzogna.

Liberazione degli schiavi: si è prodotta spontaneamente e gradualmente per effetto di una mutata visione del mondo. Così avverrà – forse – con gli esseri elementari schiavizzati dalla techne umana.

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