Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 3 aprile 2010

Uno che muore


La sofferenza è la gloria, ma non
prendetemi alla lettera.
Io non parlo nel farsi del tempo
come gli scribi (e neanche
nel fatto del tempo, come
i sacerdoti), e non ho autorità
nel mio dire, ma briciole
dell’una cosa e dell’altra, ora
che un altro è imminente.

La sofferenza è la gloria, ma
in una condizione precisa,
non da alcuna prospettiva.
Sappiamo
che l’assenza di prospettive
è la disperazione, però disperarsi
alla lettera
è l’inferno, disperarsi
della lettera è il regno,
il reale: impensato, ma non
impensabile. Non prendete, vi prego,
per buono ciò che dico, ora
che qualcosa è imminente.
Sto solo morendo con infamia,
e in questa riduzione, dove abito
(è la mia estrema prospettiva), piange
la pienezza impronunciata, ma non
indicibile: perché qualcuno la dice
esistendo, ed è colui
che ora è imminente.

La sofferenza è la gloria, è questo
che giudica il mondo, e lo offende.

Io non parlo di niente, sto solo
morendo, faccio largo
dal mio angolo al grumo
della parola, sono solo
possibilità di un ventre
per la parola carnale.

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