Tra i meravigliosi explicit della narrativa, quelli che
hanno forza di katanyxis (Don Quijjote, Morte di Ivan Illich, Moby
Dick, Processo), il più
gloriosamente umile – gloria di crepuscolo ermetico – è quello del retore
isiaco, la trasfigurazione, il ritorno di Lucio, intimamente svuotato, al foro,
al mercato della sequenza zen: “Così, di nuovo, con i capelli completamente
rasati, senza velare o coprire la calvizie, ma anzi mostrandola a tutti, mi
dedicavo pieno di gioia ai doveri di quell’antichissimo collegio fondato dai
tempi di Silla [Rursus denique quaqua
raso capillo collegii vetustissimi et sub illis Syllae temporibus conditi
munia, non obumbrato vel obtecto calvitio, sed quoquoversus obvio, gaudens
obibam]”. L’ultima frase vuol dire anche: “Dovunque fossi diretto, vi
andavo con gioia”, ma anche, il che è appunto unum et idem: “morivo pieno di gioia”.
Qualunque cosa si pensi di Tommaso d’Aquino (personalmente lo ritengo
uno dei massimi mistici “sobri” del cristianesimo medievale), ogni libro di
teologia dovrebbe iniziare come la Summa
Theologiae, quaestio II, articulus 3:
“Esiste Dio? Sembra di no”.
La regina Maria Antonietta,
salendo i gradini che la separavano dalla Vedova, pestò il piede del boia Sanson
e prontamente gli disse: “Signore, vi chiedo perdono, non l’ho fatto apposta”.
L’ammiraglio Heihachirō Tōgō, il trionfatore di Tsushima, facendo visita al suo
avversario, Rožestvenskij, bendato per le numerose ferite ricevute, si inchinò
di fronte a lui e gli espresse il suo “profondo rincrescimento”. Se uno
sconfitto o un vittorioso sono capaci di simile cortesia (ed è difficile per
entrambi: si tratta di contrastare la rapinosa corrente della pesanteur), non sono né vittoriosi, né
sconfitti: volano alto al di sopra delle fragili e caliginose contingenze della
storia.
La parola
di Dio è una spada a doppio taglio, dice l’autore della Lettera agli Ebrei.
Proprio per questo non bisogna smussarne il filo con interpretazioni che
tengano troppo distanti i due sposi, lo Spirito e la Lettera. “E i figli
d’Israele servirono Eglon, re di Moab, per diciotto anni. Ma i figli d’Israele
gridarono al Signore e il Signore fece sorgere per loro un salvatore, Ehud
figlio di Gera, della tribù di Beniamino, un mancino; e i figli d’Israele
mandarono per mezzo di lui un’offerta a Eglon re di Moab. Ed Ehud si fece una
spada a due tagli, lunga un cubito, e se la cinse sotto la veste, al fianco
destro. E portò l’offerta a Eglon re di Moab. Eglon era un uomo molto grasso.
Quando ebbe terminato la presentazione, mandò via le persone che avevano
portato l’offerta. Ma egli tornò indietro dalle cave che erano presso Gilgal e
disse: ‘Ho una parola segreta per te, o re’. Questi gli disse: ‘Silenzio!’ e
quanti stavano con lui uscirono. Allora Ehud si accostò a lui, che sedeva da
solo nella Stanza della Frescura [il cesso], al piano di sopra. E disse Ehud:
‘Ho una parola di Dio per te’, e l’altro si alzò dalla seggetta. Allora Ehud
allungò la mano sinistra, trasse la spada dal suo fianco destro e gliela infilò
nel ventre. Anche l’elsa entrò dopo la lama, e il grasso si chiuse intorno alla
lama. Così egli non tolse dal suo ventre la spada, che gli era uscita da
dietro” (Giudici 3,14-22).
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