Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 22 ottobre 2013

Tentativo di commento storico-profetico della filastrocca di Pesah “Had gadya”*




Un capretto, un capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne il gatto, e si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne il cane, e morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne il bastone, e picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne il fuoco, e bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne l’acqua, e spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne il bue, e bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne il macellatore, e macellò il bue, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne l’Angelo della Morte, e macellò il macellatore, che macellò il bue, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

E venne il Santo (sia benedetto), e macellò l’Angelo della Morte, che macellò il macellatore, che macellò il bue, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre comprò per due zuzim.

Il Padre acquista come ʻeved, servo, per due zuzim d’argento (le due tavole della legge giusta e misericordiosa – l’argento è il metallo che simboleggia la Tenerezza divina), il capretto saltellante, dionisiaco, fragile, espiatorio – Israele.
Il primo predatore, e l’unico che abbia con il capretto Israele un rapporto immediato, brutalmente diretto, è il gatto. Strano che sia un gatto, anche se selvatico, a mangiarlo – solo qui compare il verbo akhal. Si tratta forse del piccolo regno di Macedonia, che divora l’Ecumene e assorbe le scintille di Israele, impregnandosene.
Il cane, il pagano impuro, è Roma, la Lupa. Si limita a mordere il gatto alessandrino – ma nashakh, mordere, suona come nashaq, baciare. La Lupa soppianta il Gatto, lo ferisce – ma di fatto lo bacia, lo sfiora con delicatezza, perché l’Impero di Cesare e quello di Alessandro resteranno divisi, e l’uno sarà l’Europa cattolica, l’altro l’Asia islamica, affacciate sul Bosforo, il Guado della Vacca, nemici perpetui come cane e gatto, amanti tragici e segreti come Ero e Leandro.
Il bastone è il Barbaro (proveniente dal Nord, dove abita il Male) come flagellum Dei, verga di Dio (hutra, il bastone, è anche lo scettro regale). Brucia e consuma i barbari, poi, il fuoco del Giudizio, che è anche l’eretica (per l’ebreo) passione cristiana.
L’acqua è antico simbolo di Hesed, la Tenerezza divina, che estingue il fuoco intollerante dei cristiani; forse è l’Andalusia omayyade, in cui zampilla la fonte argentea della Torah esoterica, la qabbalah. Le acque dell’Alhambra, la sapienza orientale di Sulayman che gabba e illumina Bilqis con il gioco del pavimento di cristallo che sembra acqua.
Il bue o toro che beve quell’acqua è la Vacca Europa, l’idea dell’Europa cristiana, chiusa e militante. Tuttavia, abbeverandosi all’acqua del Medioevo segreto, l’Europa ha compreso in sé (con generosa furia taurina e pazienza di ruminante) sia l’esclusivismo che l’assimilazione – la crisi permanente che è il suo destino di Tramonto.
Lo shohet è il macellatore rituale: forse la Riforma protestante e la Rivoluzione francese, che hanno ucciso – in modo inconsapevolmente, profeticamente religioso – la Vacca Europa.
Il Macellatore è a sua volta macellato dall’Angelo della Morte, Dumah, il silenzioso fermento apocalittico della storia occidentale. In finem, però, nella proiezione verso il Punto che Dante coglie al centro e al culmine dello spazio rovesciato, uscito da se stesso, dell’Empireo, in un ossessivo martellare della radice shahat, che indica appunto l’uccisione rituale della bestia – il Santo, sia benedetto, il Padre che ha acquistato il capretto per due zuzim, riemerge dal groviglio samsarico della storia sacra-maledetta e macella il mondo e l’Angelo della Morte, suo principe, probabilmente per mangiarlo, per assumerlo in sé, al grido altissimo (pagano, oracolare) di Macte!

* È nota la versione di Angelo Branduardi, Alla fiera dell’Est. Qui il capretto della filastrocca diventa un goebbelsiano topo, che è ancor più piccolo e fragile e meglio soddisfa il bambino realista che è in ogni ascoltatore (il gatto mangia proverbialmente il topo: il capretto, anche neonato, può interessare i più brutali istinti del gatto selvatico, da cui però il cane della strofa successiva – sicuramente domestico, se una mano che si presume d’uomo si limita poi a bastonarlo – si terrebbe saviamente lontano), ma non ha, per ebrei e pagani (anche cristianizzati) del Mediterraneo, la stessa pregnanza simbolica, dionisiaca, orfica, scritturale, del capretto.

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