Un capretto, un
capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne il gatto, e
si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne il cane, e
morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne il bastone,
e picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne il fuoco, e
bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il
capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne l’acqua, e
spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne il bue, e
bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne il
macellatore, e macellò il bue, che bevve l’acqua, che
spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il
gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne l’Angelo
della Morte, e macellò il macellatore, che macellò il bue, che bevve l’acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il
gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
E venne il Santo
(sia benedetto), e macellò l’Angelo della Morte, che macellò il macellatore,
che macellò il bue, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il
bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il capretto,
che mio padre
comprò per due zuzim.
Il Padre acquista come ʻeved, servo, per due zuzim d’argento (le due tavole della
legge giusta e misericordiosa – l’argento è il metallo che simboleggia la
Tenerezza divina), il capretto saltellante, dionisiaco, fragile, espiatorio –
Israele.
Il primo predatore, e l’unico che
abbia con il capretto Israele un rapporto immediato, brutalmente diretto, è il
gatto. Strano che sia un gatto, anche se selvatico, a mangiarlo – solo qui compare il verbo akhal. Si tratta forse del piccolo regno di Macedonia, che divora
l’Ecumene e assorbe le scintille di Israele, impregnandosene.
Il cane, il pagano impuro, è
Roma, la Lupa. Si limita a mordere il
gatto alessandrino – ma nashakh,
mordere, suona come nashaq, baciare.
La Lupa soppianta il Gatto, lo ferisce – ma di fatto lo bacia, lo sfiora con
delicatezza, perché l’Impero di Cesare e quello di Alessandro resteranno
divisi, e l’uno sarà l’Europa cattolica, l’altro l’Asia islamica, affacciate
sul Bosforo, il Guado della Vacca, nemici perpetui come cane e gatto, amanti
tragici e segreti come Ero e Leandro.
Il bastone è il Barbaro
(proveniente dal Nord, dove abita il Male) come flagellum Dei, verga di Dio (hutra,
il bastone, è anche lo scettro regale). Brucia e consuma i barbari, poi, il
fuoco del Giudizio, che è anche l’eretica (per l’ebreo) passione cristiana.
L’acqua è antico simbolo di Hesed,
la Tenerezza divina, che estingue il fuoco intollerante dei cristiani; forse è
l’Andalusia omayyade, in cui zampilla la fonte argentea della Torah esoterica,
la qabbalah. Le acque dell’Alhambra, la sapienza orientale di Sulayman che
gabba e illumina Bilqis con il gioco del pavimento di cristallo che sembra
acqua.
Il bue o toro che beve
quell’acqua è la Vacca Europa, l’idea dell’Europa cristiana, chiusa e
militante. Tuttavia, abbeverandosi all’acqua del Medioevo segreto, l’Europa ha
compreso in sé (con generosa furia taurina e pazienza di ruminante) sia
l’esclusivismo che l’assimilazione – la crisi
permanente che è il suo destino di Tramonto.
Lo shohet è il macellatore rituale: forse la Riforma
protestante e la Rivoluzione francese, che hanno ucciso – in modo
inconsapevolmente, profeticamente religioso – la Vacca Europa.
Il Macellatore è a sua volta
macellato dall’Angelo della Morte, Dumah, il silenzioso fermento apocalittico
della storia occidentale. In finem,
però, nella proiezione verso il Punto che Dante coglie al centro e al culmine
dello spazio rovesciato, uscito da se stesso, dell’Empireo, in un ossessivo
martellare della radice shahat,
che indica appunto l’uccisione rituale della bestia – il Santo, sia benedetto,
il Padre che ha acquistato il capretto per due zuzim, riemerge dal groviglio samsarico della storia
sacra-maledetta e macella il mondo e l’Angelo della Morte, suo principe,
probabilmente per mangiarlo, per assumerlo in sé, al grido altissimo (pagano,
oracolare) di Macte!
* È nota la versione di Angelo
Branduardi, Alla fiera dell’Est. Qui
il capretto della filastrocca diventa un goebbelsiano topo, che è ancor più
piccolo e fragile e meglio soddisfa il bambino realista che è in ogni
ascoltatore (il gatto mangia proverbialmente il topo: il capretto, anche
neonato, può interessare i più brutali istinti del gatto selvatico, da cui però
il cane della strofa successiva – sicuramente domestico, se una mano che si
presume d’uomo si limita poi a bastonarlo – si terrebbe saviamente lontano), ma
non ha, per ebrei e pagani (anche cristianizzati) del Mediterraneo, la stessa
pregnanza simbolica, dionisiaca, orfica, scritturale, del capretto.
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