Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 9 aprile 2010

Povertà e forma


Due versi del drammaturgo elisabettiano George Chapman: “Chi non è povero, è mostruoso: solo il bisogno/ dà FORMA e DIGNITÀ (valore) ad ogni umana semenza”. La forma postula la povertà, implica il limite: chi vuole la forma, vuole limiti. C’è una sentenza di Pasolini, che cito a memoria, e mi sembra una delle più efficaci degli ultimi cento anni: Quando si aveva solo il necessario, la vita stessa era necessaria; ora che si ha il superfluo, la vita stessa è divenuta superflua. Quando ti volgi, con lo sguardo del cuore – dell’immaginazione –, alle epoche in cui era forte e collettivo il senso della morphé, ricordati che erano epoche in cui era parimenti fortissimo il senso dell’ananke: epoche di esistenze brevi e minacciate, in cui decine di figli, di cui solo pochi sopravvivevano, venivano messi al mondo senza strategie malthusiane, in cui si poteva essere squartati per sovversione ed impiccati per un furtarello, anche a dodici anni, in cui la vita di una donna, ma anche di un uomo, era stretta in una rete di aspettative (di forme) culturali e sociali straordinariamente forti e, ai nostri occhi, straordinariamente rigide. Il senso dei diritti dell’uomo (idea illuministica, soggettiva e tendente all’illimitato) era molto debole, mentre era saldo il senso della giustizia (idea legata alla forma, quindi al limite). Ora, questo nesso forma-limiti (e povertà) rende fatalmente storte tutte le diagnosi sull’informità moderna che vogliano trasformarsi in posizioni – tutte le idee che vogliano consolidarsi in ideologie. Anche se ricostruire le forme in privato è impresa münchauseniana e votata allo scacco, vagheggiare una cultura fondata sulla forma vuol dire desiderare la povertà e il limite, che è come desiderare la croce o la guerra (ascoltata tempo fa al mercato: “A signò, qua ce vorebbe ’n’antra guera...”). Come insegnano Simone Weil e Melville, ci è chiesta l’attenzione, non il desiderio (in questo senso). Ci è chiesto di vedere le forme attraverso i limiti che la nostra piccola vita ci offre-impone, ma anche di vedere questa nostra piccola vita-esperienza in modo non privato, bensì alla luce della presenza delle cose, alla luce dell’anima mundi. Evagrio diceva impeccabilmente: “Monaco (solitario!) è colui che, separato da tutti, è a tutti congiunto”: un programma difficile, ma oggi più che mai necessario. Perché anche l’oggi ha la sua forma, anche il regno della quantità è costretto alla qualità. Secondo Musil, chi oggi voglia parlare agli uccelli come Francesco, deve seguirli non sugli alberi da frutto o nelle pozzanghere dell’Umbria medievale, ma sulle grondaie dei condomini urbani, nei tubi di metallo, nelle fessure del cemento.

Nessun commento:

Posta un commento