- Io credo a tutto, e a nulla: sono Gimpel e Pirrone insieme.
- Non dire sciocchezze! Nelle situazioni concrete, reali, rispondi in modo preciso: fai ciò che sei, ed è questo che credi.
- Certo, ma questo credere sta alla fede come il fatto di esser nato sta all’amore per la mia vita.
- L’amore sorge dal riconoscimento dell’esistere, dalla riconoscenza per l’esistere.
- No, non è così naturale. L’amore e la fede di cui ti parlo, e che non ho, sono una grazia che scende su una vita già spezzata o già piena, su un uomo già verme o già adamo, su un pagano, su un ebreo, su qualcuno o su nessuno.
- E tu pretendi di essere meno, o magari più, di qualcuno e di nessuno? Pretendi di essere altro? Non è che stai scambiando la realtà misteriosa della tua specificità per l’orribile sortilegio della solitudine di chi si sa speciale?
- Te l’ho detto: non mi sento più speciale in questo senso. Ma non tutto di quella solitudine era sortilegio e delirio; nell’informe fluire di sofferenza e colpa si addensava il volto irrefutabile del mio destino, che ancora non conosco. Forse – questo intravedo oggi – il destino di uno che non ha una religione.
- Amico, fratello, ma chi mai può avere una religione?
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