Il passaggio ad un piano diverso dell’essere implica un salto, una rottura, una morte. Entrare nel mondo dell’immagine, dell’anima, è morire al mondo dell’estensione (l’anima vincolata al corpo), e in quella soglia, in quel transito si sperimenta la crux, l’aporia (Zenone, ad esempio), la contraddizione. Così dal mondo delle immagini e della psychè si accede all’intuizione, al nous, alla sintesi attraverso una sperimentata aporia (Hölderlin): attraverso la porta del tragico – la cui apertura non va però identificata con la lacerazione/ferita (il tragico non va letteralizzato), perché c’è una dimensione ermetica che è forse anche più ampia del tragico stesso (vedi il proemio di Parmenide, i malachoi logoi, i “dolci”, i “molli”, i “delicati discorsi” delle fanciulle figlie del Sole). Evitare l’oggettivazione dualistica del nous è la scommessa più grande del platonismo – come pure integrare l’intelletto teoretico e quello pratico in un’unità non plastica, non costruita, non astratta (Aristotele-Platone e Wittgenstein-Newman): ragione-intelletto e fede. È sempre il vecchio enigma del logos lanciato ai mortali.
mercoledì 26 maggio 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento