Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



mercoledì 26 maggio 2010

Il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo


Il passaggio ad un piano diverso dell’essere implica un salto, una rottura, una morte. Entrare nel mondo dell’immagine, dell’anima, è morire al mondo dell’estensione (l’anima vincolata al corpo), e in quella soglia, in quel transito si sperimenta la crux, l’aporia (Zenone, ad esempio), la contraddizione. Così dal mondo delle immagini e della psychè si accede all’intuizione, al nous, alla sintesi attraverso una sperimentata aporia (Hölderlin): attraverso la porta del tragico – la cui apertura non va però identificata con la lacerazione/ferita (il tragico non va letteralizzato), perché c’è una dimensione ermetica che è forse anche più ampia del tragico stesso (vedi il proemio di Parmenide, i malachoi logoi, i “dolci”, i “molli”, i “delicati discorsi” delle fanciulle figlie del Sole). Evitare l’oggettivazione dualistica del nous è la scommessa più grande del platonismo – come pure integrare l’intelletto teoretico e quello pratico in un’unità non plastica, non costruita, non astratta (Aristotele-Platone e Wittgenstein-Newman): ragione-intelletto e fede. È sempre il vecchio enigma del logos lanciato ai mortali.

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