Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 22 maggio 2010

Lettere a Mardekucek: Sulla generazione


Caro Mard,

l’Uomo del Sottosuolo può credere di trovare il proprio limite, la propria forma, nelle nozze e in particolare nella generazione della prole: ma per dare la vita deve lasciarsi uccidere in quanto Uomo del Sottosuolo. Non può continuare ad esistere non esistendo: eppure non deve – questo è meno ovvio – rinunciare a quanto ha sperimentato nel ventre dell’illimitatezza, allo stigma d’infamia metafisica che ha segnato per sempre la sua presenza nel mondo. Forse non sto parlando di malheur nel senso di Simone Weil; adesso penso soprattutto a Dostoevskij, il vagabondaggio della mente e dell’anima mi riporta al suo modo di vivere il rapporto fra limite e illimite. Voglio essere ancora più piccolo e preciso: sto parlando di me, del cuore demonico della mia gioia e della mia sofferenza, della mia incalcolabile necessità, della mia spigolosa contingenza.
Una coppia concepisce un figlio: la sua conoscenza di questo evento coincide con la sua ignoranza; la sua conoscenza e la sua ignoranza di questo evento sono subito afferrate dalla conoscenza e dall’ignoranza collettive, comunitarie, universali – dal riconoscimento sapiente/stupido (nel senso di colmo di stupore, che sempre tracima dallo stupente) di quella concentrazione di realtà, di forza, di significato, di quel conquistare un esatto ma inafferrabile spazio, di quell’entrare in casa o espandersi intrecciando spirali di forme e nomi. E questo è già un fatto giuridico, una pietra giuridica, un fatto mistico e profetico, una pietra di rivelazione: dura-cedevole presenza, celebrazione e pròblema.
Un uomo e una donna stanno insieme, forse vivono insieme, ad un tratto si dice che lei sia incinta, compaiono dei segni sul suo corpo: dopo qualche mese nasce un bambino. La testimonianza di una comunità lega tra loro tutti questi fatti (più radicalmente, ne fa dei fatti), stabilisce delle inferenze, sancisce delle realtà: ma, come in tribunale, la collezione di indizi si fa ragionevole prova solo in virtù della parola, ponderata e decisiva, di un organo giudicante, la cui presenza e immanenza è sin dall’inizio riferita ad uno scarto e ad un’assenza dal corpo della legge o dalla nuda consensualità – anteriore, sottratta all’illimite e alle transazioni, sacra – di un corpo comunitario. La maya si aggioga al logos, alla mediazione, negandosi per principio, concependo se stessa in rapporto a una durezza petrosa, a un intero: in un certo senso produce il logos, lo fa nascere, lo incorpora nell’apparente continuum della contingenza (che così risulta curvato, riportato all’uno come da un vortice di danza), ma non lo crea e pretende di non crearlo.
Come vedi oggi ho bisogno di parlarti delle cose grandi e ordinarie, Mard, ma in un modo sghembo e crepuscolare: il mio di oggi, appunto, questa intersezione fra la mia morte benedetta e la mia morte insensata. Io sto per sposarmi, Mard.

Daniele

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