Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 1 maggio 2011

Con Bloy, nella cloaca/3


Parabola dei due figli: il padre chiede loro di andare a lavorare la vigna – il primo dice di sì e non va, il secondo dice di no, si pente e va. Il Verbo, quando si rivela per figure, fondando un ordine, “dice di sì”, e non è banale menzogna umana, è l’ipocrisia evangelica, tragicamente inerente al corpus permixtum, all’attesa (lo insegna Quinzio): è il sì di chi resta col Padre e non esce per lavorare la vigna. Lo Spirito, il Dissipatore, l’Esule, la Shekhinah come Spirito inferiore, Figlia-Sorella, Signora e Prostituta, Messia del Secondo Avvento, dice di no, sfugge al verbo fissato nella scrittura o nelle forme dell’attesa, ed esce per la sua metanoia, come il Figlio Prodigo ovvero scialacquatore, per lavorare nella vigna confuso coi servi, mescolato a tutti, scintilla e respiro di questo mondo dannato e redento.

Alla donna che concepisce cessano le mestruazioni: così per la terra, per la chiesa gravida del Veniente s’interrompe il ciclo lunare dell’invocazione liturgica, segno di avodah, di servitù-servizio, di galuth, di esilio-diffusione. L’erranza lunare si fissa nella centralità e stabilità solare, come un pensiero del cervello che si condensi e si fonda nel pensiero del cuore.

Apocalisse e apocatastasi sono contrarie, come croce e gloria, come chiesa del Verbo e chiesa dello Spirito, come Vecchia e Nuova Alleanza, come la Shekhinah disseminata e dispersa e il Dissipatore e Accusatore, Satana, entrambi “principi di questo mondo”: come ricco e ricco, potenza e potenza, pace e pace. Tutto è Uno, Dio è incarnato, Dio porta tutte le cose, tutte le cose portano Dio, lo sappiano o no, lo vogliano o no, e l’onnipotenza si compie nell’onnidebolezza, nella misericordia che rende tutto scambievole, vertiginosamente reversibile, nauseante come l’apocalisse, sfolgorante come il grido di vittoria dell’apocatastasi.

Altro passo del diario di Bloy, da meditare: “Ce qui est singulièrement, étrangement déconcertant, c’est que Dieu semble faire ce que font les mauvais riches(Au fait, pourquoi dit-on les mauvais riches, comme s’il pouvait y en avoir de bons?), lesquels riches font payer horriblement cher ce qu’ils donnent et ne le donnent qu’à la dernière extrémité, lorsqu’il n’existe plus aucun moyen de le refuser. Il ya une réponse infiniment mystérieuse et mélancolique. C’est que Dieu est pauvre et, jusqu’à une certaine heure, impuissant. Ce qu’il donne, il faut qu’il l’obtienne d’abord lui-même, avec des souffrances inconnues dont nos plus belles souffrances ne sont qu’un reflet”. Sempre il mistero della Misericordia, per cui Dio salverà gli uomini solo in quanto da loro salvato, e viceversa. È il segreto del rapporto signore-servo nell’Islam, è il segreto della maya in India. Nella Sua povertà e impotenza, per la Sua povertà e impotenza (ovvero per la Sua misericordia), Dio sembra agire come il cattivo ricco, ovvero come il cattivo povero: non c’è male solido o apparente che non si riduca alla sofferenza divina, alla discesa divina, alla contrazione divina, non c’è scandalo, pietra d’inciampo, tranello mistico e profetico che non si confonda con lo scandalo della dolcezza, della gratuità creatrice, dell’illusione creatrice e redentrice, del sogno divino che è più forte della sua veglia perché sprofonda in un risveglio intriso di sonno, in una integrità ferita che è davvero la consumazione di ogni desiderio, di ogni pensiero, di ogni lucente dolore e oltredolore.

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