Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



mercoledì 11 maggio 2011

Filosseno di Smirne: vita e opere/ 1


Nei primi mesi del 2001, un periodo per me particolarmente oscuro e doloroso, mi fu commissionato un lavoro filologico su un autore manicheo pressoché sconosciuto, indicato da un paio di fonti bizantine semplicemente come Philoxenos Smyrnaios, il cui occultamento quasi riuscito (e il fallimento era opera mia, mia colpa, anche se riprendevo il filo di un eresiologo del X secolo trascurato dalla fama, proprio come Filosseno e come me) si doveva alla duplice scomunica della chiesa ortodossa e di quella manichea. Non credo che questa pubblicazione strapperà il suo nome a tenebre finalmente felici: tutt’al più darà loro un sigillo fraterno, uno spessore di rammemorazione luttuosa che il Male rosicchierà senza poterne fare guscio o parodia.

Notizia biografica di Teodoto Volias (m. 923), antiquario ed eresiologo bizantino

Filosseno di Smirne [ca. 325-356, ndt], teologo manicheo, fu accolto nella chiesa a diciassette anni; due anni più tardi era già Eletto, ma entro ventisei mesi al più fu scomunicato per aver condotto la dottrina della setta all’estremo della follia. Secondo il suo insegnamento (dogma), infatti, la salvezza del Dio di Luce implica la distruzione totale dell’uomo e del mondo, perché il fallimento definitivo in basso (to sfalma to teleion to en tois katō) si ribalta nella pienezza in alto (tô plerōmati en tois anō antameibetai). Dio si salva perdendo una parte immane (meros ti hypermeghiston) di Se stesso, ma ne conserva l’aroma (tēn autoû odmēn). Tuttavia Filosseno, pur così cieco nelle questioni teologiche, non arrivò a predicare l’anomismo o l’antinomismo (anomian de ē paranomian), e nemmeno la disperazione (anelpistian), bensì il desiderio di morire per il Padre (tēn toû hyper Patros apothanein epithymian); e la debolezza di Dio (hē Theoû astheneia) è così paradossalmente redenta dalla perdizione attiva (dia toû kat’energheian olethrou) dell’uomo, che – egli scrive – “non è allora del tutto escluso dal Regno, ma vi entra in modo indicibile (tropō tini alaletō)”. Dopo la scomunica egli soggiornò a Malta, dove sposò una giovane manichea di origine ebraica, Agazia, senza aver mai figli da lei. Secondo la testimonianza della moglie, Filosseno viaggiò poi in Persia e in Battriana. Forse morì nel deserto ai confini con l’India, assassinato da briganti pagani. Un Eletto di Smirne, Tiziano romano, lo descrisse come alto, bruno, di scarso pelo, ossuto, di lungo naso ed estremità smisurate, melanconico, dalla voce bassa e rotta, poco incline ai piaceri, ma anche alla disciplina ascetica. Scrisse alcuni trattati in greco, tra i quali: Kosmologhia Megalē in tre libri, Logos alēthinos peri phōtos kai skotias in quattro libri, e alcuni Dialogoi tra il Cristo pneumatico e il Cristo psichico.


[Ea quae extant: sei frammenti dalle opere; Epistola sull’Uno e il Due; Epistola sul suicidio]

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