Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 6 maggio 2011

Con Bloy, nella cloaca/8


L’era astrologica del Leone può essere considerata l’esiodea età dell’oro. L’era del Cancro sarebbe allora caratterizzata dal passaggio all’età dell’argento: secondo Santillana, intorno al 7000 a. C. l’umanità conobbe una spaventosa perdita di sostanza spirituale – l’oro si offuscò, impallidì. L’era del Toro è conservatrice, tradizionale, in questo senso dominio soprattutto dei brahmana: vede il transito dall’argento al rame (Luna e Venere sono gli astri del Toro). L’età dell’Ariete è l’età dello kshatriya, e sperimenta, come realtà e presagio, il lungo arco di decadenza dal bronzo al ferro. Tuttavia, nel corso dei secoli più che al ferro di Esiodo viene da pensare ad un minerale alchemico come segno di maggiore bassura, di informità e di lavorio interno, trasmutatorio. Sotto l’Ariete domina il Padre come Signore degli Eserciti, il suo regime simbolico o patriarcato, l’etica dell’onore, l’ingenuitas del cuor-di-leone e la furia, l’ansia rajasica sempre pronta a consumarsi nello spirito, a farsi ascesi e ascesa al sacerdozio, itinerario purgativo verso l’unzione. Nell’ultimo quarto si annuncia il Figlio, il logos: il commento, la critica, il tragico, la ragione. La radice di questa lotta, di questo affrontamento, è al crocicchio tra la generosità guerriera e l’obliquità mercuriale. L’era dei Pesci (del Pesce) reca il segno del vaishya: Gesù è artigiano, Muhammad mercante. Tuttavia Gesù, testa della ecclesia dei Pesci, nasce e muore sotto l’Ariete, segno della Pasqua, della primavera. Secondo Bloy, i peccati specifici dell’età del Figlio sono avarizia e gola, per via della carne di Gesù (j’attends Dieu avec gourmandise, Rimbaud, Saison) e del suo sangue che è il denaro. Era dell’amore, delle religioni universali, della fine dell’onore e dell’inizio dell’interdipendenza mercantile, delle “comunicazioni”, del colonialismo. Dopo la dissoluzione del cosiddetto Medioevo, stagione di ardente e fragile equilibrio, si prepara l’era dell’Acquario, con forte anticipo e vertiginosa mixis archetipica. L’industrialismo segna l’ingresso nello shudra-varna, la titanica tecnica ottocentesca sta di fronte al suo gigantesco eroe e vittima, l’Operaio. Con l’epoca delle masse il servo torna schiavo, ma in una confusione essenziale che annuncia la crescita dell’avarna, del candala, meta corruttrice e opportuna dell’homo aequalis. Nella presente era dei candala già si prepara quella successiva, di nuovo dei brahmana: ma poiché sarà la fine dei Pesci e la transizione all’Acquario, sarà un sacerdozio di dissoluzione, di tecnocrati spirituali, di comunicatori borgesiani, di trickster sapienti e di seri illusionisti (anche se non mancherà mai un elemento di buffoneria, essendo la consumazione dei Pesci legata alla lugubre festa del Carnevale).

Nell’ordinato tumulto di appunti del Mendiant ingrat, impeccabile esegesi apocalittica della parabola del seminatore: il Padre semina, dissemina il suo Verbo prima sulla Via che è Gesù stesso, il Verbo incarnato, poi sulla Pietra che è la Chiesa di Pietro, poi sulle spine, la Tribolazione che lo (e la) incorona. È la triade di dolorosa sterilità che scandisce il Tempo dell’Attesa e della Speranza: l’Incarnazione, la Chiesa, i tempi dell’angoscia che preparano il Nuovo Avvento. Solo una piccola parte del seme cade nella buona terra di Canaan, “quella del Paraclito”. Spaventosa visione dell’età del Figlio: finalmente il seme è stato gettato, effuso, ma è un’altra caduta nell’aridità, anzi, nella più arida delle aridità possibili; e la parte che trova la terra fertile, la terra umile, la terra nuda, è quella destinata a morire nell’oscurità e nella putrefazione perché erompa l’Albero della Vita.

Perfetto esempio di ragionamento simbolico in una lettera di Bloy a Henry de Groux: “Jésus est au centre de tout, il assume tout, il porte tout, il souffre tout. Il est impossible de frapper un être sans le frapper, d’humilier quelqu’un sans l’humilier, de maudire ou de tuer qui que ce soit, sans le maudire ou le tuer lui-même. Le plus vil de tous les goujats est forcé d’emprunter le Visage du Christ pour recevoir un soufflet, de n’importe quelle main. Autrement, la claque ne pouvrait jamais l’atteindre et resterait suspendue, dans l’intervalle des planètes, pendant les siècles des siècles, jusqu’à ce qu’elle eût rencontré la Face qui pardonne...”. Proprio così: il male non potrebbe mai raggiungere la consistenza di atto se non incontrasse il limite della Croce, e del Corpo e del Volto di Chi vi sta appeso. Il male non avrebbe il nome, la realtà misteriosa di male, non sarebbe quel kentron, quel punto che trafigge il cuore divino e su cui tutto si incardina, se non fosse coinvolto nella solidarietà, nella pienezza trasmutatrice della Misericordia.

Ricordo una storiella sgradevole, probabile eco di una controversia autentica. Un prete cristiano dice a un rabbino: “Come potete venerare una legge scritta su due tavole di pietra? Se a Mosè fossero cadute entrambe in un crepaccio dell’Oreb, ora voi non avreste una legge!”. Il rabbino risponde, ghignando: “La vostra condizione è alquanto peggiore! Come potete venerare un Dio incarnato? Se Maria avesse abortito, ora voi non avreste un Dio!”. In realtà, le tavole sono state spezzate e il Dio incarnato è stato ucciso su una croce. Non si dà un’opposizione e un’alternativa tra idolatria e antidolatria: nessun uomo potrebbe infrangere gli eidola, le immagini, se le immagini non portassero, nella loro pienezza, l’umiltà di una manifestazione prospettica e l’ancor più grande e misteriosa umiltà della morte, la dignità sacrificale che le imporpora di vita eterna.

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