Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 22 maggio 2011

Nudità/smembramento


Caro * * *,

capisco la tua nausea davanti ai faccioni postrepubblicani e ai motti sempre più demenziali, ma tutto sommato è l’aspetto più stupido e innocente del raggiro, come il disvelarsi di culi e il tonitruare di peti nelle farse immutabili. Le campagne elettorali sono ridicole dai tempi di Pericle e Aristofane, la loro parentela col komos, col fondo dionisiaco e sbertucciante della democrazia è originaria, come in tutte le cose noi ci segnaliamo solo per la minore vitalità (connessa a una infinitamente minore trasparenza rituale) e i più estenuati ricami sulle foglie di fico. Anzi, persino su questo ho qualche dubbio: oggi il bambino nella folla non deve urlare che il re è nudo, il potere di questi attorucoli strapagati e resi lievi (lievissimi) dal clima di un torbido e lungo declino è uno dei più nudi che ci siano mai stati, perché rimanda così scopertamente alla propria essenza teatrale (nudo però non vuol dire semplice, il potere è sempre un mercurio, un proteo, non lo puoi definire, più è puro e meno è definibile). Che cosa dovrebbe urlare il candido puer davanti a questo corteo di cretini? Tutto svela e quasi ostende l’interdipendenza, come in ogni tempo di dissoluzione l’assenza di forme incarnate suscita l’inquietudine e la sete di vecchie care certezze, ma è solo un breve indugio, la fisionomia della società e della cultura è profondamente meticcia, fluida, come del resto hanno visto in molti: nella fluidità del transito, il puer forse farebbe bene a non guardare, a custodire lo sguardo astenendosi (cieco asino con grandi orecchie veggenti) dal clamoroso ma sempre più fiacco show. I cosiddetti potenti sono sempre poveri pupazzi, poveri cristi nel senso più (apocalitticamente) letterale: teste di turco, pietre sataniche da lapidare, fumo negli occhi di tutti. E oggi lo sono più che in passato: bisogna averne compassione, e odiarli con terribile misura.
Non voglio contagiarti troppo con le mie riflessioni di questo periodo: mi limiterò a qualche cenno. Circa venti anni fa lessi di una foto che aveva ispirato a Bataille le sue idee sull’eccesso sacrificale come origine della comunità umana: un’istantanea che documentava l’ultima applicazione, nel 1905, in Cina, del supplizio del ling-chi, o “taglio in diecimila pezzi”. Al condannato venivano asportati lembi di carne e organi non vitali per almeno tre giorni di seguito, rigorosamente in pubblico, finché il Burattinaio non si decideva, dopo aver lasciato il campo forse un po’ troppo a lungo alla burocratica dilazione del boia, a tagliare i fili del pupazzo straziato. Ci fantasticai su per qualche giorno, poi me ne scordai. Dieci anni fa, finalmente, contemplai la foto, persi un mese e mezzo di sonno – e la ferita ancora non si è cicatrizzata. Ovviamente, come suggerisce la forma, si trattava di una pena comminata ai sovversivi, ai traditori: l’Unità antica, sempre sul filo dell’idolatria, lacerava per contrappasso i suoi laceratori. Così i regicidi francesi Ravaillac e Damiens, delle cui morti incredibilmente teatrali avevo letto, restandone parimenti intronato, durante l’adolescenza: giorni di ustioni, attanagliamenti, mutilazioni, poi un maldestro squartamento con cavalli e asce sulla pubblica piazza istupidita dalla festa di urla e di sangue. L’illuminismo alquanto parruccone dei miei quindici anni trovava in quegli spettacoli una giustificazione indiscutibile: “Almeno oggi non sbrindelliamo per strada i Damiens!”. Poi l’infittirsi e il complicarsi delle meditazioni, e Kafka e Simone Weil, e un pochino anche Foucault (davvero buono il suo Sorvegliare e punire, che appunto si apre con la cronaca d’epoca dell’esecuzione di quel povero pazzoide che inferse un innocuo colpetto di temperino al petto di Luigi XV le Bien Aimée). Oggi il misterioso e terribile filo mi guida in altri meandri del labirinto, in altri angoli sacri ed esecrandi del diritto penale – ma per ora basta, se la cosa ti interessa riprenderò il discorso nella prossima lettera. (Solo una raccomandazione: ti sconsiglio di cercare quella foto).

A presto,

Daniele

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