L’anima è
intermediaria, mediatrice – è prospettiva: da un lato rivolta
verso l’alto (ano), al nous, alla luce
dell’intelletto, dello spirito; dall’altro rivolta verso il basso
(kato), alle tenebre, all’opacità di hyle, della
materia: è il colore (che nasce nella tensione polare fra luce e
tenebra), l’immagine.
Zolla e Hillman sono
i Dioscuri del Secondo Novecento, tempo di esilio: i due volti di
Hermes, amicus cuiusque segregati (amico di chiunque si sia
separato dal grex, dalla mimesi sociale), i due crepuscoli,
orientale e occidentale.
[L’anima]
In Zolla l’anima è
uno specchio prensile, volto verso la luce del nous, è il
cristallo del versetto coranico che si lascia attraversare
dallo splendore dell’intelletto divino;
in Hillman l’anima
è caduta (non ha subìto o agìto la caduta, è
coinvolta in essa), ombra e umidità, initiator initiandus.
Tale opposizione
speculare si manifesta nei rispettivi stili di scrittura-pensiero.
Stile-retorica di H.: invischia, impania, illumina e fa fermentare
come un vino in una botte, è uno stile misterico-iniziatico,
drammatico (nel senso di drama, evento, fa accadere gli
eventi). Arietino, marziale, dotato in sommo grado di vis
polemica, che apre la terra (pseudoetimologia di aprilis,
il suo mese natale), la via, e incita al contempo a non conformarsi
alle proprie posizioni dialettiche (così anche Nietzsche).
Stile di Zolla:
Luna, lucore delicato e distante, dolce e radicale, malinconia
misericordiosa, l’epifania di Iside in Apuleio; cristallino e
tagliente, a volte morbido, fluido, poco strutturato.
[Archetipi]
Da Platone a Jung e
oltre, nell’idea e nel termine di archetipo si congiungono
visione e patimento: l’archetipo è l’impronta originale da cui
derivano le copie individuali, ma proprio in quanto impronta, typos,
è qualcosa che è stato impresso con un colpo (greco typtein,
da cui tympanon, tamburo e timpano auricolare, e typas,
martello). Capitolo fondamentale di Zolla: “La percezione emotiva
degli archetipi”.
In Archetipi
equilibrio fra i “due” periodi fondamentali di Zolla: un
equilibrio carezzevole come quello di un platonico di Persia, di un
miniaturista, prima di volgersi verso il buddhismo tibetano,
sciamanico-tantrico.
Zolla “zingaro”
(C. Campo): francofortese radicale e libero in Eclissi
dell’intellettuale, moralista adamantino e ascetico in
Volgarità e dolore, antropologo e psicologo-critico culturale
nei Letterati e lo sciamano, guenoniano intelligente e già
presago di altri lidi in Che cos’è la tradizione, grande
erudito secentesco (ma anche scienziato-poeta goethiano, cultore
della Naturphilosophie romantica) nelle Meraviglie della
natura. Esodo dall’Europa dei conflitti ideologici verso
l’America individualista, folle, già acquariana. Archetipi
scritto a 55 anni (1981), età della maturità, di Giove.
Riscopre la
metafisica, la philosophia perennis, poi si volge allo
sciamanesimo e al buddhismo tantrico, tibetano, al Giappone e alla
sua aisthesis, alla Cina taoista.
Hillman scrive Il
sogno e il mondo infero a 53 anni, nel ‘79. Nell’80, voce
“Psicologia archetipica” dell’Enciclopedia del Novecento
Treccani. Per lui, l’esodo è dall’America fondamentalista e
sradicata verso l’Europa – un Europa continentale che sogna il
Meridione, come nel Secondo Ottocento, e la Grecia, come in tutto
l’Ottocento.
Dai mysteria
junghiani, per lui una metafisica della psicologia o metapsicologia,
emigra verso una psicologia radicale dell’immagine, della
manifestazione, della necessità, del tragico, dell’arte, della
comunità.
[L’Uno e i
Molti, lo Spirito e l’Anima]
Zolla inizia il suo
aureo libretto con l’Uno (“L’esperienza metafisica”) e
termina con la Visione della Rosa. Amante ermetico, vagabondo di
Sofia, insieme bhaktico e vedantico: segue Ramakrsna, il devoto della
Devi che, su consiglio di un advaitin, ha tagliato in due con
la spada del discernimento l’immagine della dea foggiata nella
mente. Sorriso di sfinge, unione di misericordia e libertà
metafisica, vuoto (shunyata): l’immagine viene coagulata e
dissolta a volontà, con una percezione delicata dell’opportunità,
del kairos metafisico (che il credente ingenuo scambia per
opportunismo). Zolla senex torna al Daodejjing che lo
aveva eletto puer, a sette anni. Il saggio-santo taoista non è
tradizionalista, è anarchico, pragmatico, umile idiota di villaggio
e incurante sovrano nascosto, senza vincoli di fede.
Storia del
fantasticare: libro ascetico, inquisitorio, che corrode con acidi
intellettuali sia la fantasticheria che la rêverie (celebrata
invece da Bachelard e, più sinuosamente, da Hillman). Anche la
psicoanalisi è ridotta, ricondotta all’ascesi patristica
(antologia La psicoanalisi del 1960).
H. ha un approccio
più affine allo zen, alla vipassana, al distacco partecipe
(ironia) dell’artista romantico.
H. invita ad essere
artisti della vita, daimonici. Per lui lo spessore storico – opera
e setting dell’anima – conta più che per Z. – ma anche
H. è ermetico, perché l’artista del soul-making è
strabico, duplice, vede in trasparenza, recitando interpreta,
riflette.
In H. non c’è un
oltre sostanziale che unifichi la poiesis, la
cosmogonia, la scena tragicomica di anima (la “base poetica
dell’anima” è un terreno vivente, ed è un Un-grund, vedi
frammento di Eraclito sull’anima che non ha confini): l’Uno è
esperito come ciasc-uno, come epifania-di-sé, non può essere
oggetto o contenuto di un’esperienza separata, privilegiata.
Centrale in entrambi
il tema del destino: l’astro, astrum in homine,
l’imagine del cuor. Zolla, dal punto di vista dello
spirito, sottolinea l’ascesi come disciplina negativa, mentre
Hillman, dal punto di vista dell’anima, sostiene che la disciplina
è già implicita nei pathe, già inerente alle sofferenze di
anima.
Ripresa di motivi
della critica di Nietzsche. Zolla: potere, truffa del profeta, del
sovrano (Blake: I must create a system or be enslaved by another
man’s). Hillman: la Grecia psichica, il destino, l’eterno
ritorno, il superamento del dualismo verità-apparenza, la
giustificazione estetica dell’esistenza.
Cuore pulsante del
libro di Zolla: Politica archetipale e Poesia archetipale.
Il primo saggio dissolve duemilaseicento anni di storia occidentale,
da Romolo e Remo a Yalta, in un bagno mercuriale freddissimo da cui
riemergono pochi tarocchi, poche carte da gioco continuamente
rimischiate. Gli archetipi che stampano il loro riflesso sul prensile
specchio di anima si proiettano poi, di anamorfosi in anamorfosi,
sulla scena delirante, più-che-onirica, della Storia, dove diventano
cartoni ossessivi, parodie micidiali. Zolla osserva lo spettacolo con
divertito sgomento, e ci consegna una sfera di cristallo mite e
crudele con cui possiamo disincantarci. In Poesia archetipale mi
sembra contenuto, in a nutshell, il lascito
metodologico e filosofico quintessenziale del libretto: la poesia, la
narrazione sciamanica primordiale, si serve del linguaggio
quotidiano, comunicativo, binario, con la stessa spregiudicata
misericordia che il tantrika riserva alle immagini: lo svuota
dall’interno facendone una cassa armonica per dhvani, per la
risonanza, per l’aura della parola, per il suo incanto essenziale e
non-binario, non-duale.
[Approccio
profetico-metafisico e pagano-politeistico]
Paganesimo: si vive
alla luce dei molti dèi, delle intuizioni divine, mentre
l’iniziazione (all’Uno) è esoterica, velata. Invece sia le
religioni profetiche che la metafisica rendono essoterico l’Uno,
con il rischio di letteralizzarlo: ma l’intento è costruire un
recinto, un contenitore al libero gioco dell’interpretazione,
dell’anima.
H. ermeneuta e
fenomenologo appassionato. Z. rimane, di distillazione in
distillazione, un metafisico, un sophos.
H. pagano ed
ebreo: l’accostamento all’Uno, allo spirito – il
mysterion – resta esoterico, velato, eventualmente negato.
Sul piano
ermeneutico (psichico), spirito e anima sono due prospettive
(immaginabili come parallele, o come i due serpenti che si
intrecciano sul caduceo, o come due facce di una sola realtà, o in
ordine gerarchico etc.). – L’anima sticks to the images
(Lopez-Pedraza): lo spirito emigra dalle immagini e se ne
riappropria, è intimo e distante, distaccato, è nunc stans e
lampeggiamento discontinuo, sposo-signore dell’anima, creazione e
distruzione.
Zolla ha ragione
– gli archetipi sono messaggeri dell’Uno, e nella loro unità,
nel loro insieme, sono, costituiscono l’Uno manifesto; ma
l’approccio ermeneutico (psicologico) di Hillman è più discreto:
l’uomo radicalmente caduto non può accostarsi all’Uno se non
restando radicalmente, alchemicamente fedele alla sua caduta. Inoltre
la molteplicità degli dei – dell’anima – non è riducibile
all’Uno: l’Uno irraggiungibile si manifesta come molteplicità, e
oltre la manifestazione “non c’è nulla” (prospettivismo,
relativismo, catottrica di Corbin, degli iranici etc.).
Lo spirito in
H. è l’eros a cui l’anima ritorna attraverso i suoi pathe,
in un moto serpentino di caduceo, spiraliforme. Lo spirito non
letteralizzato, non isolato e fissato come dogma o testo, sempre di
nuovo dissolto nell’umidità mercuriale di anima, è il dinamismo
stesso del fare-anima, il suo telos tutto intimo al pathos,
al drama, e che pure sempre lo eccede. Psicologia poetica di
H. come riflesso speculare o stampo o rovescio notturno
dell’esperienza spirituale.
[Dimensione
profetica di entrambi]
Sia Z. nel suo
orientamento, nel suo finale esodo dall’Occidente, sia H.
che, più psicologicamente, esorta a restarvi, com’è pur
necessario, vigilando però sulla frontiera tra i mondi, in anima
– sono due traghettatori dell’esilio occidentale, dissolvono
radici abbarbicate, incancrenite, per additare il luogo in cui la
coagulazione – la creazione di un nuovo mondo, che è la nuova
creazione del mondo – sia di nuovo possibile.
In Z. non viene mai
meno la spinta gnostica a moksha, a soteria, a rompere
il tetto della casa o prigione, al chorismos, a uscire dal
mondo: è il viandante di C. Flammarion [vedi immagine alla
fine]. Esercizi di respirazione embrionale sul letto di morte.
(Ritorno al Tao).
Ultima intervista di
H.: sembra un adagio mahleriano, una meditazione di Rilke. Il pathos
individuale entrato nel mito, nel logos comune di psiche,
nella poiesis del mondo, dell’anima mundi, non
è “guarito” o “redento”, non c’è un telos esterno
– il telos è-e-non-è l’opus stesso, la poiesis,
l’ermeneutica dionisiaco-ermetica di anima è infinita come in
Heidegger.
[Conclusione]
Nell’incendio di
Troia a Enea fuggiasco adparent numina magna deum. L’uomo
della pietas, delle radici, destinato a uno sradicamento oltre
il quale potrà traghettarle in Esperia (terra del Tramonto,
Occidente), deve sperimentare la loro morte nella loro stessa
epistrofè, deve acquisire lo sguardo doppio del mite sapiente
zolliano e dell’ermetico artista/attore (hypokritès)
hillmaniano.
* *
*
L’approccio di
Zolla alle immagini mi sembra esemplificato a meraviglia
dall’aneddoto su Sen no Rikyu, il monaco giapponese che portò a
compimento l’introduzione della cerimonia del tè. Un novizio gli
recò in dono dei fiori, che fortuitamente finirono decapitati: i
petali caddero sul tatami ai piedi del tokonoma, gli steli restarono
in mano al monacello mortificato. Allora il maestro lasciò i petali
sul tatami e pose gli steli in un vaso nella nicchia del tokonoma.
Poi spiegò: “Quando sei entrato, i fiori erano fiori: la
forma è forma. Quando i fiori si sono spezzati, non c’erano
più: la forma è vuoto. Secondo la mentalità
ordinaria, sarebbero potuti restare così: il vuoto è vuoto.
Ma ora abbelliscono il tokonoma e la sala: il vuoto è forma”.
Sull’approccio a
spirito-e-anima, credo sia esemplare l’opera di un poeta che
entrambi amavano, Yeats, Sailing to Byzantium. Questa poesia
celebra la fame, il bisogno senex di spirito, di un’uscita
dal mondo: ma la preghiera rivolta ai saggi vigili e ritti nel sacro
fuoco di Dio, la supplica di essere ammesso all’“artificio
dell’eternità” (sia Zolla che Hillman commenterebbero
all’infinito la magnifica espressione), è preceduta da un mirabile
ritratto del corpo senile ridotto ad una giacca sbrindellata appesa
ad un bastone. Come insegna Hillman nell’ultima sublime intervista,
coagulazione e dissoluzione nella morte si accompagnano, sono
inscindibili: così la prospettiva morbosa, la patologizzazione di
anima, e l’eros spirituale che desidera cantare in un’altra aria,
sul dorso del cielo.
Nel film di Weick,
Zolla dice, da eccelso sincretista, che Ibn Arabi, Pico e
Abhinavagupta insegnano la stessa cosa, e sanno che le
tradizioni spirituali insegnano la stessa cosa, l’unum
necessarium. Dal punto di vista psicologico (di anima, di
Hillman), tutti loro stanno dicendo e facendo cose enormemente
diverse. Eppure le dicono e le fanno proprio perché hanno
acquisito la doppiezza, lo sguardo strabico dell’attore
dionisiaco-ermetico, del pellegrino incantato: Ibn Arabi era, in
giurisprudenza, un tradizionalista severo, Pico ammirava Savonarola,
Abhinavagupta era uno shivaita devoto. Molteplicità e unità
scorrono l’una nell’altra, con semplicità di colomba e astuzia
di serpente (ovvero: sull’asse centrale del caduceo, sibilando e
strisciando come i due serpenti, come la diade).
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