Antonio Palamàs sognò che, secondo un trattato medievale, il
migliore tra i remedia amoris consisteva nel commettere un crimine
particolarmente infamante, affinché la cura per l'orgoglio devastato scacciasse
l'assillo erotico dal cuore. A quel punto evocava l'autore (era quasi certo si
trattasse di Guillaume de Lorris) e gli obiettava: “Nessuno conosce davvero il
punto debole del suo amor proprio. Solo un padre spirituale lo potrebbe, ma
appunto un padre spirituale non darebbe mai una consegna simile”. Il poeta
sorrise dolcemente e, incrociando le mani dietro la nuca, disse con orribile
serenità: “Ho scritto che è il migliore, amico mio, non che è possibile”.
Secondo i massimi studiosi di letteratura sanscrita
classica, il Kāmasūtra, il sontuoso trattato che rende ingannevolmente
palpabile l'impalpabile Desiderio, seguirebbe da vicino la struttura e le idee
dell'Arthashastra, il terribile trattato che rende – onestamente e
tortuosamente – impalpabile l'arte del governo. Così i due fini “minori”
dell'esistenza sono l'uno lo specchio dell'altro: anzi, sono un solo riflesso,
una sola penombra, un solo batter di ciglia. D'altronde, è sempre di Malkuth
che si parla – anzi, noi siamo parlati da lei, che è la Bocca del corpo divino.
La casa è prigione e letamaio, insegna un sutra monastico
buddhista. Nessun problema, tanto nessuno ne avrà più una. Saremo tutti monaci in
pectore, e tali resteremo: e ai più il petto si stringerà in una folgorata
angoscia.
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