Notte,
m’avvince il tempo al suo segreto,
si
corruga in icona il tuo velame
e il
buio effuso a fossa di liquame
si
inchina al cuore, è fratta di roseto;
ogni
specchio di Dio, sciolto da brame
e
contese, dal tremito consueto
del
morire diurno, s’apre quieto
più
che a rugiada l’amoroso stame.
Così
all’orrore, allo sterile incanto
che
nel vacuo precipita le stelle
e le
lega alla ruota dei millenni
rido,
e mi ride il volto caro e santo
del
piccolo universo, e le sorelle
tenebre,
e i frutti fragili e perenni.
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