L’aspetto
peggiore degli eccessi è che ci rendono insensibili. Gli strazi di Damiens e di
Calas (interminabile squartamento con cavalli e sciabole, membra spezzate da una ruota di
carro) ci hanno aguzzato il senso interno, la fantasia, alle sofferenze dei
condannati dell’Ancien Régime, ma ci hanno anestetizzato ai patimenti dei
detenuti e, cosa di maggior momento (perché è la causa del primo male), al significato della detenzione. Così, più
filosoficamente, il trattatello di De Sade (Français,
encore un effort si vous voulez être républicains) ci tramortisce in modo
così caricaturale da spingerci a dire: teniamoci la democrazia parlamentare,
teniamoci questa falsa quiete in cui aleggiano spettri che sarà pur possibile
disinfettare. A parte il fatto che una repubblica sadiana diventerebbe una
fogna di mediocrità (lo scatenamento delle energie ribelli, antinomiche, è
fecondo quando viene percepito e concepito come un momento eccezionale, anormale:
se è sistematico è obbligato a farsi norma), la reazione che suscita in noi è
il trionfo dell’oligarchia: ci induce a dimenticare che è bene uccidere i
malvagi (ieri gli aristocratici molli e arroganti, oggi i ben più velenosi
pirati della speculazione finanziaria, gli Omini di Burro dell’advertising);
che è bene per la morale e l’estetica che gli istinti erotici patologici non
siano né repressi e compressi, né vellicati e rimescolati nella penombra di un’inconsciente
nequizia, ma gettati nel fuoco fino a che non raggiungano il calor bianco; che
è giusto e sano sguinzagliare i segugi dell’immaginazione infera se si conosce
il recinto in cui devono rientrare, al primo tocco di rosa dell’aurora, quando
il corpo dormiente ritorna alla veglia nutrito dal sangue dei morti e dalla
rugiada degli angeli.
domenica 3 novembre 2013
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento