Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 10 novembre 2013

I shall be made thy music




I monaci sono morti in vita, i morti sono monaci reclusi nel midollo della vita, sulla soglia tra i mondi, si sono isolati per meditare, secondo la prensile parola rilkiana (Storie del buon Dio). I morti ritornano ad essere musica, che è la voce originaria della volontà, insegna Schopenhauer, del desiderio divino: diventano ciò che erano prima di nascere, il ronzio solenne e ammaliante del desiderio, simile a un bordone liturgico, al fremito dell’arco di Cupido-Kāma, alla salmodia ininterrotta delle api. Per udire questo suono basta turarsi le orecchie e installarsi tra sonno e veglia: la morte costringe tutti, morti quieti e morti inquieti, a partecipare alla polifonia, ma gli inquieti percuotono la corda del desiderio per proiettare la loro ossessione nell’orecchio sottile dei vivi, che si impregna di morte non vissuta, di morte perpetuamente moribonda. Così, osserva Simone Weil, sublime paria torturata dall’emicrania, chi soffre di una violenta cefalea vorrebbe trasferirla magicamente nel cranio del primo che passa; e chi è mutilato dalla sventura vorrebbe silenziosamente amputare tutto il mondo, perché ciò che più lo fa soffrire, ciò che davvero gli impedisce di abbandonarsi all’infernale anestesia dell’odio raggelato, è la percezione della bellezza e della dignità, il piacere innocente che canta la sua nota al di sotto della cacofonia delle passioni terrene.

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