Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 8 febbraio 2010

Disastri



“Non riusciamo ancora a prevenire i terremoti”. “Ancora? Ma davanti a questi eventi siamo impotenti come i nostri antenati: siamo nulla come loro. Perché siamo uomini”. Dico di più, amici: siamo più impotenti di tutti i nostri antenati – perché siamo più potenti. Sì, sull’abisso dell’umiliazione fiorisce ancora, come la ginestra di Giacomo, la pura fraternità inerme: ma non possiamo neanche allearci contro la Matrigna, contro Arimane, perché un terremoto per noi non ha volto. Sì, qualche lineamento sembra affiorare, mostruoso, atroce: ma secondo me non è, se non a tratti, un residuo incontrollato del vecchio sacro, semmai è un barbaglio di sacro nuovissimo, nichilistico, un riflesso del nostro volto, o meglio del volto della Tecnica – una Natura sentita come impersonale, enorme, schiacciante, indifferente... Una Natura da combattere con una Contronatura, speculare, uguale e contraria – un cozzare titanico di forze elementari senza volto... Qui siamo, più o meno. Ed è proprio qui che gli angeli si nascondono – nel duplice senso che qui, in questa condizione d’anima, non possono mostrarsi, e al tempo stesso non possono che essere, che attenderci proprio dove ci troviamo, proprio dove crediamo di trovarci.
Quando riusciremo, se riusciremo, a prevedere il terremoto un’ora, un giorno, un mese prima, il terremoto ci colpirà comunque con altre sorprese. Io potrei avere una rivelazione in cui mi si dice (o disporre di uno strumento raffinato che mi comunica) il momento esatto della mia morte, con tutte le circostanze che lo accompagneranno: per questo la faccia della morte mi riuscirà meno strana e opportuna? Il punto è sempre quello: non è di terremoto, non è di cancro o di infarto o del mio assassino che si tratta. Che cos’è terremoto? Che cos’è cancro? Chi uccide chi? Io ti racconto che mio nonno è morto consumato lentamente da una neoplasia, e che ha esalato l’ultimo respiro dopo due giorni di irrequietezza e qualche ora di agonia: che cosa ti ho detto? Che cosa so della morte di G. C., che amava essere chiamato Peppino come suo padre? E cosa so della morte di uno di quei duecento abruzzesi? “Schiacciato dal tetto durante un sisma del 6° grado della scala Richter durato circa 20 secondi”. Ah, ma il signor A. B. ha visto un angelo, ha pregato Dio, ha bestemmiato, ha fatto interessanti meditazioni sulla vita, si è pienamente realizzato mentre cedeva sotto una tonnellata di pietre, si è sentito defraudato, si è sentito spezzato, si è sentito in cammino, ha pensato alla moglie, al figlio, a un amico d’infanzia, ha scagliato nell’etere un augurio, un saluto, una benedizione, un’inquietudine... Ci salva sempre e solo il non sapere: “io non so, non so cosa è accaduto – sto qui e guardo, attendo”.

Nessun commento:

Posta un commento