Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 18 febbraio 2010

Midrash al finale del Libro di Giobbe



E Giobbe morì vecchio e sazio d’anni. Ma il Satana della sua vecchiaia rifiorita, risorta, era più sottile dell’accusatore che, loquace, aveva tentato Dio nell’assise celeste. Giaceva, languiva nelle cose restituite, nei figli ultimi che si confondevano coi primi alla memoria sazia d’anni, nei nomi deliziosi delle figlie che compensavano montagne di dolore gridato, nella pace carnale, ferita, domestica del suo sapersi vittorioso e umiliato. Stava lì, riluceva di debolezza, occhieggiava di abitudine, non parlava, o quasi, si limitava a sussurrare, di quando in quando, nell’erba delle oasi che non sapeva di rispondere al vento: nella santa ignoranza delle cose, aveva deposto se stesso come un uovo di distruzione inaudita, una promessa inerme di rinuncia, di saggia rinuncia alla speranza e all’attesa. E la sazietà d’anni del vecchio gentile si salvò, ma come passando attraverso il fuoco. L’angelo della morte gli sorrise, gli tirò le orecchie come ad un bambino, e dopo avergli additato il turbine, di nuovo il turbine, che l’avrebbe portato nella terra del suo amore, gli disse, insinuando col suo tono che il morto aveva ancora molto da imparare: “Ma quando il Giudice ritornerà, troverà ancora dolore sulla terra?”.

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