Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 25 febbraio 2010

Ultrascandalo



Dopo aver letto La ginestra, ogni volta, sprofondo nel mistero come una pietra. Ci difendiamo dalla natura: ci difendiamo dall’angelo. Ci difendiamo da Dio, giacobbi senza fardello di storia profetica, ai tanti guadi di Yabboq che quasi ogni ora della vita ci fa trovare sui nostri passi. Sì, la natura è malata come l’uomo, e la presenza di Dio non vi è mai immediata. Nel midollo sofferente e tarato della natura, Dio è presente come la alef nella parola het, peccato: fra la prima e la terza, e ultima, lettera, mediano, quiescente, cioè muto. E, muto, sostiene, rende dicibile il verbo ambiguo, pagano della natura. Pagano, sì: la natura è sorella, ma la sua sororalità ci gioca, ci sfugge, ci delude, sempre demonica, sempre più leggera di noi – ogni suo enigma è l’impronta mitica, fantastica, di un mistero divino. Accettiamo le malattie e le curiamo, amiamo e uccidiamo l’uomo che ci viene incontro per ucciderci, pariamo il braccio al colpo del fratello, ci teniamo lontani dalle zanne di frate leone. Questo non mi scandalizza: Dio è fra me e il fratello, in me e nel fratello, piange forte nel torturato e piano nel torturatore; ride anche, nel torturatore – ma non del riso che crede di ridere lui. Non è indifferente alla qualità di quel riso, visto che ha deciso ab aeterno di patire nelle carni della sua vittima: ma è questo, questa misteriosa misericordia, che per così dire mi ultrascandalizza, mi lascia senza fiato, senza nemmeno il fiato per scandalizzarmi. E dove fiuto più intenso, più concentrato il mistero, è in quel corollario della Rottura originale, nel difenderci da ciò che è più noi di noi stessi, dallo straniero che viene ad insegnarci, a consegnarci il nostro vero nome.

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