Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 22 febbraio 2010

Nota sul tragico



Dove sento il tragico, to traghikòn, l’oscuro duende mediterraneo lucidato dall’angosciata misura attica, fatto poroso alle perplessità più-che-sacre del logos? Apro a caso l’Agamennone: “[Clitennestra:] Io non sono la sposa di Agamennone./ Sotto le sembianze della donna di questo/ morto, io sono l’antico atroce alastor (demone della vendetta)...”. Ecco: io non sono più io, sono svuotata, posseduta, non può dirlo davvero chi lo è; eppure proprio questo ripetono da sempre i vindici, gli afferrati negli ingranaggi più stringenti e laceranti della pesanteur. La bocca umana si fa corpo, profetizza oscuramente, dice il vero negandoselo: la cecità divina rende il patiens segno per la comunità che guarda – sgomenta e pietosa – ma lo configge, gelosa, in una passio che lo perde in quanto uomo.

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