Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 6 febbraio 2010

Annotazioni sul mostro



Mostro, monstrum, da monere, avvertire: ciò che è contra naturam, che segnala con la sua rottura del tessuto consueto – l’intreccio delle abitudini della manifestazione naturale, che dal XVII secolo circa si sono pietrificate in “leggi” determinate ed esprimibili matematicamente – l’alterità divina o demoniaca. Mostro quindi come qualcosa di difficilmente distinguibile dal miracolo – se non forse per il ruolo che ha nel miracolo il rapporto più nitidamente instaurato tra un uomo, il profeta, lo sciamano, e il mondo divino; insomma il mostro come un caso speciale di miracolo, un segno divino profondamente radicato nella natura, che addita al di là della natura stessa.
Se però, come scopre il mistico, come sente il fondo poetico della nostra mente, della nostra anima, tutto è miracolo, perché tutto è immotivato, inspiegabile, misterioso, allora lo statuto ontologico del mostro si complica e chiarisce insieme. Perché il mostro ci costringe al sacro, ci avvince al sacro, e il sacro non è vivibile dall’uomo: l’uomo deve recintare il suo temenos, tracciare i confini del santuario, del sanctum (=sancito), per accogliervi il sacro senza esserne assorbito e distrutto. E il mostro è natura e contro natura, è sacro e umano o animale o vegetale insieme.
Spesso il mostro non può vivere: i bicefali, gli acefali, eccessi o difetti che rendono impossibile il gioco degli organi, la vita che è qualcosa di medio, di mediano tra i mondi superiori e i mondi inferiori. A volte il mostro può vivere una vita breve, oppure può essere messo a morte alla nascita in quanto non riconosciuto come umano: viene sacrificato, riportato immediatamente al sacro cui appartiene. Non può stare tra i vivi, come i morti, come gli angeli. Il mostro è un angelo inquietante (anche se il peso di una carne invisibile per la sua prodigiosa bassezza ne fa spontaneamente, almeno in linea di principio, un oro velato, un’icona inquadrata e misurata dall’esattezza stessa delle sue piaghe, rendendolo così, almeno in linea di principio, assai meno inquietante dell’angelo più confidente e tenero).
A volte, infine, il mostro vive a lungo tra gli uomini – ma sempre separato dalla ritualità consueta dei rapporti umani. L’ermafrodita, il deforme – come trattarli, come pensarli? L’ermafrodita è uomo o donna? Può sposarsi? Se ha rapporti sessuali, commette peccato? Può scegliere tra uno dei due sessi per placare l’inquietudine collettiva, per dare forma, con la volontà e la pubblicità del rito giuridico, all’informe che abita il suo corpo? Sono domande inestinguibili, ed hanno ricevuto risposte diverse, sempre necessariamente insufficienti. Perché il mostro mostra l’insufficienza dell’umano. Il mostro, l’essere contro natura, mostra i segreti della natura, mostra che la natura è radicata in ciò che la supera, che la norma è un’abitudine, un’isola che galleggia su un oceano di fuoco sacro, di fuoco divino e demonico.
Il Mostro è guardiano delle soglie, perché è costretto a vivere sulla soglia: tra il divino e l’umano, tra la sublimità della vocazione sciamanica (cui spesso i deformi erano ritenuti chiamati) e l’abisso dell’emarginazione, dell’espulsione – sacro sempre, homo sacer temuto e venerato, superiore e inferiore, esorcizzato anche nelle epoche più ansiose e razionalizzanti, come la nostra, in cui il politically correct pseudocristiano gli riconosce l’umanità lasciandolo però solo con l’immagine atroce-unica, bizzarra-infame, del suo corpo, della sua anima ferita e mai, mai riconducibile ad una norma astratta.
Il mostro può essere accolto solo al prezzo del cambiamento della nostra visione del mondo. Il mostro ci dice, ci chiede, angelico, pauroso, inguardabile, magnete degli sguardi, medusa, gorgone, divino-diabolico, di cambiare la nostra visione, di affrontare l’iniziazione. Il mostro ci ammonisce, ci ottunde e ci risveglia. È un mediatore, è il mediatore. Che nasconda il Principe, come nella fiaba, è una verità difficile da conquistare, e tutt’altro che certa: ma è indubbio che valga la pena di seguirne il monito, perché monstrum a monendo.

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