Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 5 febbraio 2010

Dialogo ai margini del fuoco



- Ma dunque, filosofo, a che ti giova pensare “questo fuoco non è un fuoco”? Forse, quando gli accosti la mano, tutto il tuo corpo non è attraversato da una potente offesa? Forse non ti ritrai, costretto o persuaso che tu sia?
- Vedi, il mio pensiero non resta lontano dalla mano pavida, dal corpo offeso; né vuole tingerli o dominarli, come fanno certi istrioni cinici, che mettono una mano serena sulla fiamma e al pubblico curioso dichiarano: “È tutta una questione mentale”.
- Hai detto ciò che non fai, da buon dialettico. Ma che cosa fai, tu?
- Se penso e so che questo fuoco non è un fuoco, so anche di non sapere come mi comporterei se dovessi accostare una mano alla sua fiamma-non-fiamma. Posso dirti come mi comporto con le altre cose; per il fuoco varrà, spero, l’analogia.
- Sei astuto. Continua.
- Al cospetto di questa cosa, di questa sedia, sono perplesso e grato. Riconosco che è, che è presente, che mi è presente; e in questo riconoscimento ci apparteniamo, siamo colti in un’unica luce, in un solo fascio, io e la sedia. E per accettarla e amarla come sedia, come la cosa che mi limita e mi fa spazio, non posso non essere presente, contiguo, al suo non essere, al suo lasciarmi essere, al suo lasciar essere me, che la guardo da molteplici prospettive e mai posso afferrarla; che la tocco faccia per faccia, spigolo per spigolo, guidato dai vuoti che la disegnano: che sono sostenuto dalla sua affermazione, dalla sua forma, dalla sua lieve identità, quando mi siedo su di lei. E dunque, accostandomi a una sedia che non è una sedia e mi permette di essere me, come posso io essere soltanto io, dal momento che, senza questa vivente relazione, letteralmente, non potrei né essere né non essere?
- Non te la sei cavata male, caro il mio Zenone. Ma non te la senti proprio di fare previsioni sul tuo incontro col fuoco-non-fuoco? Ammetterai, almeno, senza bisogno di esperimenti, che una lingua di fiamma alta e ben nutrita ti lascia meno spazio per essere – e pensare – di quanto non faccia la tua sedia.
- Quando incontrerò il fuoco – perché dovrò incontrarlo – se non sarà solo il fuoco potente, il fuoco robusto e consumante, lo saluterò – o almeno mi impegno a salutarlo – con queste parole: “Qualunque cosa io senta, che tu possa essere! Che tu possa essere con me! Che tu possa essere per me! Che tu possa essere al di là di me!”. Sarà questo, potrà essere questo il mio discorso. Quasi una preghiera.
- Però! Bene, bene... Questa sì che è nuova. Che ve ne pare, Ateniesi?

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