Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 11 febbraio 2010

Lettera ad un amico impiegato sull’uso dei mali burocratici nel cammino spirituale



Caro * * *,

come sempre, posso dirti solo ciò che imparo, a Dio piacendo, di giorno in giorno – niente di definitivo, né di acquisito, a causa della mia instabilità essenziale di moderno che, come il Cacciatore Gracco del sublime-atroce racconto kafkiano, non riesce a morire (=ad essere iniziato) per oscura inavvertenza, per un errore che è di nessuno e di tutti (la nostra esistenza è tragica, non è una prestazione: lo spirito dell’epoca è qui, ne partecipiamo soprattutto nella misura in cui non lo riconosciamo). Cosa farebbe Fénelon di fronte al mostro moderno? Di sicuro userebbe un altro linguaggio, un altro stile ascetico (psicologico-spirituale), visto che il suo è stato foggiato per rispondere ad altre fami e seti di un’altra anima collettiva: eppure, se possiamo, se posso leggerlo anche oggi, tornata alla polvere ormai la Francia assolutistica di Luigi XIV, migrato nel cielo del passato anche l’io e l’amour propre di quelle fragili nobiltà superstiti, e leggerlo con qualche profitto, una continuità c’è, non può non esserci. Fénelon mi dice, al di sopra e al di là del libro, che il mondo e l’io saranno sempre, in qualche modo, una cosa sola: inutile snudare le armi al primo assalto, la fodera è l’io, il ferro è fatto d’io e forgiato dall’io, non puoi spezzare lo specchio restando dentro lo specchio. Ma quella verità così umiliante resta vera: sono prove prima che ingiustizie; o meglio, sono ingiustizie, ma puoi capirlo solo se le saluti come prove (mirabile esattezza geometrica dei paradossi spirituali!). Se tutti siamo incastrati, non ha senso prendersela con qualcuno: prenditela con te stesso, dice Epitteto. Aggiungendo, con un sorriso promettente di sfinge post-socratica: alla fine del cammino filosofico, non te la prenderai né con gli altri, né con te stesso. Non desiderare (gli oggetti) e non rifiutare (gli oggetti): cerca di andare d’accordo con la volontà che regge e plasma la tua vita, a poco a poco scoprirai che non è separata dalla tua volontà profonda, originaria, perché tu e l’angelo, tu e Dio siete una cosa sola. Solo così il tuo desiderio, il tuo thymos, liberato per eccesso e non per difetto di forza dai suoi ideali, dai suoi attaccamenti, dai suoi specchi, sarà l’eros della tua anima, quell’anima che, Heraclitus dixit, è ottima quando è aue – cioè asciutta, arida, assetata. Quando il suo desiderio è libero dal questo e dal quello, perché coglie il questo e il quello nella luce della loro origine: è il desiderio a vuoto di cui parla, platonica, Simone Weil. Allora il mostro burocratico diventa mostro iniziatico, non perché lo accetto in quanto tale, ma perché non acconsento che sia ciò che pretende di essere. Del resto, questo hanno sempre fatto le rivoluzioni: non eliminare gli effetti, ma svuotare di senso le cause, renderle prive di interesse, togliere insomma i fili dalle mani dei burattinai (che non sono poveruomini visibili e tangibili...).
Insomma, si tratta di mettersi in pellegrinaggio, di fare il primo passo del pellegrinaggio: è tutto qui. Una volta che si sa di essere in itinere, ogni uomo, animale o cosa che incontriamo fa parte del pellegrinaggio, è il pellegrinaggio: sembra niente, ed è tutto, lo ripeto. E in questo sapersi in movimento, con una partenza e una meta, l’io che è specchio del mondo diventa l’io di una narrazione, un io che incontra appunto prove, avventure, non mere offese personali: e così sapendo e facendo, non lascia il mondo com’è, quel mondo che è il Grosso Animale di Platone, proiezione dei desideri mimetici di tutti e di ognuno, intreccio di passioni di cui nessuno ha il bandolo, perché il bandolo è nella mia mano adesso (non in senso eroico, né tantomeno individualistico: l’io non è mai ciò che crede di essere). “Facile dirlo!”: hai ragione. Ma dirselo tutti i giorni lascia un segno, anche in uno come me. Se non si ha un maestro dietro qualche tendina logora e fatata del suq, si ha però, sempre e ovunque, l’angelo: all’inizio ogni volta misconosciuto (“ma tutte a me, tutte a me devono capitare... che mondo!”), poi sempre più scrutato, spiato, sospettato, presentito (“eppure, eppure questo mi riguarda, le umiliazioni della burocrazia, the insolence of office nel senso tuo, mio, di ufficio – c’è un messaggio dell’imperatore per me anche in questo...”), e con fiducia sempre crescente man mano che ci si disincanta dalla fiducia passionale negli uomini (“la tua volontà verso di me, Angelo, Dio, è una volontà di bene, corrisponde alla mia ragione profonda, al mio desiderio essenziale, alla fame e alla sete che oggi mi fanno recalcitrare...”).
Eccoci qua! Ogni giorno il sole è nuovo, diceva il nostro Efesino. Fénelon era squisito e malinconico, ma sapeva, come Silvano dell’Athos, che il tesoro è inseparabile dalle rovine: che solo disperando di noi stessi senza disperare iniziamo a consegnarci attivamente a ciò che ci appartiene più di noi stessi – al destino.
Spesso rimastico queste grandi parole di Guglielmo di Saint-Thierry, spero facciano bene anche a te: Ad te igitur, ad te sunt, et sint oculi mei ad te; in te, de te proficiant omnes animae meae profectus; et cum defecerit virtus mea, quae nulla est, post te anhelent omnes ejus defectus. “Verso di te dunque, verso di te sono e siano rivolti i miei occhi; in te, da te partano tutti i progressi della mia anima; e quando verrà meno la mia virtù, che è nulla, anelino a te tutti i suoi mancamenti”.
A presto – a presto comunque.

Daniele

1 commento:

  1. Daniele,
    non so se questa lettera e' a me rivolta, ma in qualche modo mi ci ritrovo.
    Concordo pienamente che il destino e' nelle nostre mani. Ci perdiamo troppo spesso nel cercare il male, la dove questo non c'e', o affaticarci in maldicenze che alimentano il nostro malcontento e la nostra disperazione.
    Se solo riuscissimo ad uscire dal sentiero buio e senza meta della ricerca accanita dell'artefice del nostro destino avverso, forse riusciremmo a scorgere il vero ideatore di tali malefatte.
    Questi non e' altro che noi stessi.
    Se credessimo piu' in noi stessi ed agissimo in nome del nostro credo, non avremmop l'istinto di girarci indietro per vedere chi ci segue o ci perseguita.
    Saremmo appagati, convinti di raggiungere il nostro io, nella pienezza delle nostre azioni.
    Se solo pensassimo a cosa avremmo potuto fare invece di piangerci addosso, credo che la maggior parte di noi trovera' il proprio cammino
    nella totalita' e nel compiacimento del nostro essere.
    Buon viaggio

    Buon ascolto
    http://fairtilizer.com/playlist/20747

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