Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



mercoledì 17 febbraio 2010

Doglie



Guardo questo giardino suburbano: è “in istato di souffrance”? Penso di sì: ma non in francese – la souffrance/douleur sensistica – né in tedesco – lo Schmerz schopenhaueriano, che si pretendeva pre-moderno ed era post-illuministico –; forse ogni suo minimo abitante sta ruminando il versetto ebraico di “Salomone” (Qohelet): ki-berov hokhmah rov ka‘aswe-yosif da‘at yosif mak’ov. Il primo emistichio sembrerebbe applicabile solo all’uomo: “in molta sapienza, molto tormento (disgusto, indignazione)”; la sapienza-sofia arcaica, il saper-fare/saper-vivere, si impregna lentamente di sazietà, di un non-poterne-più che è una sorta di stampo vuoto e aperto dell’angoscia profetica. Il secondo dice: “aumentando la conoscenza, aumenta il dolore”. Conoscenza è da‘at, la penetrazione nelle cose, delle cose, l’unione dei contrari, il coito dell’uomo e della donna: e il crescere, l’accumularsi di da‘at, di conoscenza feconda, che ingravida il conoscente e il conosciuto, l’uomo e il mondo, è crescere di doglie, le vecchie e sacre doglie di Eva, le incerte e nauseanti e barcollanti doglie messianiche – moto spiraliforme e non circolare dell’essere, perché, osserva il Talmud, ad ogni parto la donna maledice la notte in cui ha fatto l’amore col suo sposo, ma poi, alla vista del nuovo nato, la sua ira si placa e dopo una finissima e tagliente purificazione interiore si accosta nuovamente all’uomo. – Forse sì, forse questo giardino è “in istato di souffrance” biblica: la sofferenza del Giardino; la sofferenza dell’Adamo-Eva originario, smarrito in se stesso e in tutte le creature. Dio risponde al ka‘as, alla straziata indignazione di Giobbe, mostrandogli la dolorosa e miracolosa fecondità del creato: cura la sua nausea di uomo solo additandogli le nausee della donna gravida, della natura gravida di senso. Se la vita è dolore, il morto che parla sulla sua cenere vede nella vita, nella dolorosa vita e nel vitale dolore, come le mummie di Federico Ruysch, la “cosa arcana e stupenda” che confuta e soddisfa le domande capovolgendole sulla loro scaturigine divina.

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