Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 22 febbraio 2010

Magnum miraculum est homo



L’antropocentrismo delle religioni abramiche è un crinale esaltante e difficile, sempre esposto a realissimi tralignamenti: noi occidentali, e con noi il mondo intero, psicologicamente-culturalmente colonizzato, stiamo trasferendo la schiavitù e la barbarie – sempre più – ai fondamenti dell’esistere e del manifestare; s’ispessiscono l’inconsapevolezza e l’insensibilità verso la creaturalità in quanto si estende la libertas romana, l’imperialismo dello jus, mentre gli schiavi sono res letterali, cartesiane, non borderline giuridici. È il culmine dell’illusione e del male oggettivo, che rende quasi superfluo il peccato. Per questo discettare su embrione, persona e inizio della vita, partendo da versetti sacri, da universali etici o da esecrande superstizioni scientistiche, non è liberatorio, non spezza il cerchio, semmai è un (altro) tentativo di ridisegnare il limes piuttosto che di proteggere il temenos, gesto che implica un senso della santità meno disumanamente umanistico. L’uomo è chiamato, non eletto: non c’è ‘l’uomo’, l’adamo è un mercurio, una terra-pianta-animale sradicata, la sua forza è sacrificale-sacerdotale, messianica; non deve affrettarsi a fare della sua debolezza suprema la suprema gloria, o l’ipocrisia religiosa “antica”, la confusione di sempre tra il già e il non ancora, tra milizia e trionfo, si moltiplica e “la nuova condizione è peggiore della prima”.
Il Cristo può esserci re, può esserci Cesare, imperatore.
L’embrione, il golem che solo gli occhi di Dio vedono nella tenda dell’utero, va apprezzato proprio in quanto mercuriale grumo: proprio perché è, per la nostra sensibilità e il nostro pensiero, possibilità di apertura all’animalità (sacrificio dei molti embrioni), al vegetale (radicamento nella madre, dipendenza, nondualità), al minerale (terra adamica in stato di caos). La sua non-dualità-eppure-dualità rispetto al ventre che lo porta (individuazione nascente, aurorale) è la delicatezza stessa del pensiero nascente, aurorale, poetico, che i codici e la logica non possono definire-concludere e la sensibilità religiosa accoglie con dolcezza, con la karuna, la misericordia che fa delle leggi ‘abili mezzi’ (upaya). Così, anche e soprattutto per gli abramici, per le ‘genti del Libro’, il cosmo torna ad essere libro sacro, frontiera tra il qui e l’oltre, presenza.

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