Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 18 febbraio 2010

Corrispondenza sul limitare del tramonto



Io sono Filosseno di Cirene, il più povero dei professori di retorica dell’Impero. Ho sentito parlare per la prima volta di Gesù il Nazareno dal mio diletto maestro, Calonimo il Mite. Il dio venerato da un uomo come questo, mi sono sempre detto, non può che essere un dio vero e degno di onori: mentre tutti i nostri dei, dal primo all’ultimo, sono stanchi e ci mandano pallide visioni, o pensieri intrecciati come tele di ragno. Perché dunque non li abbandono al loro destino e non corro verso la mia vita? Ricordo che una volta Calonimo ad una mia obiezione rispose: “Gesù non hai mai gridato sui tetti di essere Dio, né hai mai presunto di esserlo o di diventarlo: come ha detto un grand’uomo, egli, pur essendo essenzialmente, morfologicamente Dio, non ha ritenuto la sua eguaglianza con Dio una cosa da afferrare, ma se ne è privato”. Un’altra volta gli dissi: “Ho letto in Empedocle che gli dei sono makraiones, ‘dalla lunga vita’, non immortali; ma tu dici che il tuo dio è eterno”. Mi obiettò sorridendo: “Eterno non vuol dire immortale. Eterno è piuttosto uno sguardo che una conquista: piuttosto un paesaggio che un’ascesa”. “Se è uno sguardo e un paesaggio – ribattei – noi due saremo lì comunque; con vesti d’anima diverse, apparterremo l’uno all’altro come, ne sono certo, ci apparteniamo adesso”. Più volte gli scrissi, nelle alte notti in cui si distillava la rugiada dell’amicizia: “Penso di dover tramontare con gli dei dei miei padri e della mia infanzia: non ho un posto nel mondo nuovo, se non come ombra benedicente da lontano”. Io sono qui, ancora, e attendo sulla frontiera senza inquietudine, anche se con timore.

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