Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 22 febbraio 2010

Da un quotidiano uscito alla vigilia del Giudizio Universale



All’assemblea internazionale per la restituzione delle opere d’arte rubate o razziate o trafugate, promossa dal Consiglio Mondiale per la Cortesia e la Correttezza, il delegato turco prese la parola per osservare umilmente che i famosi cavalli di S. Marco, universalmente noti come uno dei simboli di Venezia, erano parte del bottino della crociata “latina” del 1204 contro Costantinopoli, e come tali sarebbero dovuti tornare, con rispetto parlando, ad Istanbul, nella Turchia europea, donde erano stati ingiustamente prelevati. Il delegato greco, reprimendo con eleganza un moto di stizza, fece presente all’illustre consesso che nel 1204, come ognun sa, Costantinopoli era appunto Costantinopoli, capitale dell’impero bizantino, di lingua e cultura greca, e che quindi la destinazione riparatrice dei cavalli di S. Marco era semmai la Grecia, prima patria emancipatasi eroicamente dal giogo ottomano dopo secoli di dominio... e qui si rimangiò l’aggettivo, degno di una ballata epirota. Tossendo gentilmente, il delegato del Liechtenstein dichiarò di avere in mente una soluzione onorevole ed economica: si sarebbe potuta creare, con uno sforzo burocratico a dir poco contenuto, una enclave neutrale all’interno dell’area urbana stambuliota dove collocare il celeberrimo manufatto, la cui gestione sarebbe stata affidata, per esempio, ad una commissione internazionale, magari con una quota privilegiata per i turchi e i greci; ma i borborigmi provenienti dal seggio turco indussero la maggioranza a lasciar cadere rapidamente la proposta. Il delegato italiano, con un ampio sorriso, introdusse nel dibattito una breve e modesta chiosa che non mirava affatto, come tenne a dire più volte, a confondere le acque, ma al contrario a portare chiarezza nella difficile questione: come indica il nome islamico dell’impero bizantino, Rum, Costantinopoli era da sempre considerata la Seconda Roma, parte dell’Impero Romano ed anzi sua seconda capitale, in un certo senso, dopo esserne stata, per volere del primo Cesare cristiano o filocristiano, la prima. Non aggiunse la conclusione del ragionamento, ma ci arrivarono quasi tutti. A questo punto, prossima alla disperazione, l’assemblea optò per il ricorso ad uno sciamano buriate, quindi estraneo alla querelle, che avrebbe dovuto indurre i cavalli ad alzarsi in volo: sospesi tra il cielo e la terra, sarebbero stati finalmente di tutti e di nessuno, placando le angosce inesauste delle nazioni coinvolte nella loro storia complicata. Ma lo sciamano non riuscì nell’intento: pare che i cavalli si siano limitati a spiccicare medianicamente qualche parola, forse nel linguaggio spregiato degli Houyhnhnm, che il vecchio smilzo e ridente si rifiutò di tradurre in una delle molte lingue dell’illustre consesso.

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