Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 8 febbraio 2010

Riflessioni sparse su sensi e cultura/2



La vista ha un rapporto dialettico col tatto (sin da Aristotele), è un tatto sottile, quasi un tactus spiritualis – così fra i sensi è ad un tempo il principale alleato e la principale ‘vittima’ dell’astrazione. La percezione ordinaria dello spazio da parte dell’uomo è forse la più intrisa di astrazione, le immagini bidimensionali sono ‘immerse’ in una coscienza della tridimensionalità che ne condiziona l’esperienza. La nostra esperienza del mondo non può non essere in una certa e notevole misura tridimensionale, ma la ragione, l’astrazione non è culmine, è mediazione, e se sottratta al suo tendenziale isolamento-orgoglio dalla fede immaginale è tramite e porta ad un’esperienza almeno virtualmente ‘quadridimensionale’, spirituale. A questo miravano le iniziazioni attraverso la cecità, la tenebra rituale: la custodia oculorum presuppone una discontinuità, un’emergenza della visione dal grembo di una tenebra non negativa ma germinale, in cui l’occhio riacquisti almeno in parte la connessione con gli altri sensi, con l’immaginazione e quindi con la propria vocazione spirituale. Un occhio auditivo, tattile, che gusta e in certa misura annusa: che coglie i rapporti geometrici apparentemente non qualitativi come un’impronta di qualità e specificità, come un simbolo, come concreto, attraverso il recupero della funzione sentimento. Accarezzo la distanza, anelo ad essa, mi distendo nella prossimità, la tocco saldamente: l’oggetto lontano e l’oggetto vicino sono comunque ‘parti’, ‘sezioni’ dell’oggetto, non si dà immediatezza perché non si dà separazione, recisione dell’oggetto dal suo e dal mio spazio, dal suo e dal mio tempo. L’esperienza come evento tende a rendere la vita simbolica, rituale, perché così i significati scaturiscono dall’esperimento, non vi vengono giustapposti: non allegorizziamo l’esperienza (che comunque è un utile stratagemma, cum grano salis), ma viviamo nel tessuto simbolico dell’esperienza, nella sua non-immediatezza che ci pone nella luce della totalità più vasta, delle dimensioni superiori.

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