Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 18 marzo 2010

Ad un amico, su Stagflacija ovvero la stagflazione


Caro * * *,

come ti dicevo, non posso pretendere di dare di Stagflacija una lettura economica nel senso specialistico, astratto, scientifico, teologico: posso giusto raccogliere un paio d’idee alla buona, ricordando sempre l’accezione più profetica, paolina, del termine ‘economia’ – amministrazione divina del tempo umano.
L’inflazione (parte inferiore del corpo chimerico e mostruoso di Stagflacija) è una malattia cronica dell’economia e della psicologia contemporanee: diretto il suo nesso con la magia specifica di questi due secoli, la creazione di bisogni attraverso la capillare, saturante ‘propaganda’ pubblicitaria.
La stagnazione (parte superiore della dea-orchessa, che ne comprende quindi l’orribile e forse inguardabile volto) è la morte (apparente?) del peculiarmente umano, dell’autonomia – il darsi leggi – e dell’autopraghia – il fare le cose da sé –, insomma della creatività politico-culturale in tutti i sensi a noi finora noti.
Agli inizi del ‘900, Chesterton e Belloc individuavano giustamente la nascita dello “Stato servile” (come per ogni profezia, le date sono controverse, ma non importa): fondato sull’ideologia implacabile del lavoro, implica una partecipazione ormai puramente illusoria alla vita politica; le deleghe e le alienazioni che la macchina dello Stato borghese, postnapoleonico, imponeva e induceva si fanno sempre più sistematiche, radicali, globali, quasi tutto il dominio della libera azione umana è espropriato e gestito da molteplici caste di “esperti” (è uno dei temi di Illich e, in un senso più ampio e apocalittico, di Foucault).
In un’epoca come la nostra, in cui la magia è diffusa, policentrica, impersonale e quindi tanto più mistificante, affatturante, vincolante – urge un recupero rinnovato, attentamente, lucidamente, spietatamente rinnovato, del pensiero magico. Davanti ad una sedia dell’IKEA non si possono ripetere pedissequamente, alla lettera, le meditazioni di un uomo del passato davanti a uno sgabello di legno o una sedia di vimini foggiati con lavoro paziente da un artigiano: oggi è opportuno sentire/immaginare gli dèi di Jung e Hillman all’opera nel tessuto del mondo, ma è forse più impellente e quasi preliminare fiutare e considerare l’elemento titanico sparso in ogni cosa (l’aveva ben capito, col suo occhio del cuore spalancato sugli archetipi, Hölderlin). Contro la barbarie razionalizzata dei Titani non basta la repressione geniale e attiva di Zeus, occorre la vittimizzazione rivoluzionaria di Dioniso/Zagreo. Si parla sempre di “ripartire dal basso” (nella cultura, nella formazione della società, nell’azione politica): bene, in realtà si riparte sempre dal bassissimo, dall’infimo. Exaltavit humiles. Cenerentola, l’anima asservita dalla matrigna, deve ricordare pietosamente i morti e aprirsi all’umile magia delle fate. Oggi ci vogliono dolore e azione sottile, rivoluzione nel contesto minimo: così si combinano, contro la malattia della massificazione consumistica, la cura allopatica e quella omeopatica.
Come restituire, oggi, la moneta al Cesare, all’idolo Stagflacija? Se è vero che, secondo il suggerimento di Gesù, dobbiamo restituirgli ciò che è suo, “il nome e l’iscrizione” (applicato alle invenzioni del mercato, potremmo dire forse il logo e l’imposizione pubblicitaria di bisogni), cosa rimane da “restituire” a Dio se non la materia della moneta – l’unica cosa da Lui creata, il sostegno invisibile, umile, apparentemente passivo?
Quindi ripartiamo dal bassissimo, dalla materia! Ma non può essere uno slogan. Stagflacija ci offre forse un’occasione unica per vedere in trasparenza l’idolo supremo degli ultimi centocinquant’anni, l’economicismo totalitario, il paneconomicismo condiviso da quasi tutti gli attori del conflitto sociale e politico. Restituire la moneta – che possa insegnarcelo l’inflazione stagnante, la stagnazione inflata?
Secondo me, siamo già con un piede al di là dello Stato servile. Ormai siamo fuori dal corpo dei varna di Manu: la forma umana non è più, se non in parte, quella dello shudra – ma quella del fuoricasta, del candala. Il candala è l’immagine speculare del liberato in vita: non ha un posto nel mondo, non schifa nessun cibo, nessuna veste, nessun tetto, la sua vita è un continuo inferno, un continuo giudizio universale (nelle immagini dello Yoga-Vasishtha). Ma questo vuoto di varna, di tradizione, può forse essere (secondo la migliore... tradizione apocalittica) una transizione caotica a un nuovo kosmos, a un nuovo bereshit. Questo però il candala, in quanto candala, non può saperlo.
Certo, Stagflacija mi spaventa. La precarizzazione del lavoro non sembra preludere, come nella prima metà dell’Ottocento, ad una – seppur fragile ed esposta a manipolazioni ideologiche – presa di coscienza di classe, alla nascita di un orgoglio del lavoro. L’operaio poteva vedersi in una luce eroica e comunitaria insieme: ascetico, forte, preciso, solidale, affamato di giustizia. Ma l’operatore di call-center? Il flessibile del terziario? Oltre al malcontento diffuso e indistinto – che in genere è presagio e materia prima di fermenti fascistoidi – quale forma ci è dato intravedere? E nessuno che metta in dubbio, nemmeno con infantilismo luddista (anzi qualcuno c’è, ma sono quattro gatti anarcoidi o presi in ostaggio da residui ideologici del tutto sterili, inutilizzabili), l’idolatria del Lavoro e del Consumo, coppia divina maledetta, dietro alla quale non c’è nessun iperconsapevole Grande Fratello, singolo o élite, perché l’ananke che ci domina è senza volto. Se c’è un piano dietro, è dietro tutti quanti. Di sicuro c’è la volontà – ma il volente è ignoto – di avvicinare allo zero gli spazi di quiete, di senso (in entrambi i sensi!), di felicità povera, di umano e di divino. “L’uomo è antiquato”, diceva Günther Anders: propongo questo suo titolo come motto araldico del Novecento.
Quando i temi dell’ecologia passeranno nel fuoco purgatoriale e perderanno i loro limiti attuali – ideologia vecchia e astratta, privilegio dei borghesi un tempo unici attori della distruzione del mondo, sentimentalismo, soggezione al pensiero dominante economicista – la materia della moneta sarà occasione di salute. Più che il politeismo intelligente e sensuoso di Hillman o quello imbambolato della Wicca e della New Age, intravedo una riscoperta del Magico – forse anche attraverso la rete, magicissima, di Internet – e magari, almeno nel pensiero occidentale, del suo fratello minore e gran nemico, il Profetico. Se così fosse, Stagflacija potrebbe essere incenerita nel fuoco e bevuta con l’acqua – come il Vitello d’oro.

Ti abbraccio,

Daniele

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