Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 13 marzo 2010

Dai verbali di una sezione sconosciuta


Compagni, oggi nel mondo c’è poco dolore, poca tristezza, secondo me anche non c’è neanche molta disperazione. È come una barbarie effusa, circolante, senza cariche di cavalli, senza zigomi strani da imparare a decifrare con paura e riverenza. Come tramare una guerra civile in un luogo che non è più un luogo? Chi può anche solo pensare a una rivoluzione, qui, dove gli antichi viluppi umani sembrano stemperarsi in un mezzogiorno senza feste? Sapete, oggi tutto appare crudele e inaccettabile, per questo anche i conservatori non sono più tali, si limitano ad amministrare un po’ di paura disumana, abituale, un riflesso condizionato dell’animale uomo. E noi, noi, che proposte abbiamo per il corpo e l’anima di questo mondo, che non declina e non freme? Prima il compagno segretario ha fatto un cenno, fin troppo pudico, alla fine della nostra lotta, al fallimento della nostra gioia, della nostra ira. Questo non è presente, né passato prossimo, compagni: questo è trapassato remoto. Se non ci sapessimo ultrafalliti, ben più che falliti, che senso avrebbe riunirci dopo il lavoro, stanchi e col capo ronzante di suggerimenti, di correzioni, di idee, quelle idee che nessuno, neanche per un momento, può credere capaci di scalfire il popolo? Eppure noi, anche noi, siamo popolo – né più, né meno di chi ci irride o ignora. E dunque? Cosa ho da rispondere al compagno segretario? Niente, ovviamente. Non possiamo continuare così, ma qualcosa, qualche niente, questo mio niente che non risponde, ha bisogno della nostra sciocca impotenza.

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