Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 15 marzo 2010

Appunti apocalittici del 2000/4


La brevissima haggadah evangelica del Regno e del lievito è ambigua e sottile. Il lievito (hametz) simboleggia l’insegnamento, la dottrina, ma anche il profano, contrapposto alla santità della matzah, l’azzima che è simbolo di umiltà, di conformità alla volontà divina: esotericamente è il fermento alchemico del mondo, che mortifica e ravviva, mescola e purifica. Il Regno è presentato come un fermento che gonfia la pasta del mondo facendolo, in un certo senso, sempre più secolare e sempre più terrestre; ma questa indicazione è anche una profezia sull’anti-Regno, l’anticristicità del Regno-Chiesa, mondo sacralizzato dal lievito, da un rinnovamento fatto attraverso qualcosa di vecchio. Il lievito è pasta vecchia: anche qui brilla l’ambiguità, il ritorno all’archè e l’asciutta contemplazione qoheletica; il ritorno dell’antico separato, fatto invecchiare nella separazione, che aumenta il volume della pasta mondana, è tra l’altro una profezia sulla genesi, sul senso e sul destino di ogni impero, nonché di ogni diffusione, forse di ogni tradizione.
Anche l’idea di crescita, che ha così sedotto la mente cristiana fino alla necessaria secolarizzazione, in quanto idea apocalittica ha il suo risvolto orribile, canceroso, il gonfiarsi di una pagnotta profana che non è il pane pasquale (figura dell’Ostia), che non si sa bene da chi sarà mangiato e che sospettiamo essere un pane dell’attesa, simbolo del tempo intermedio: il farsi del Regno come mixis sempre più estesa e inestricabile, al modo del pane lievitato, egizio, che ha a che fare con il commercio fra vita e morte, fra tempo e resurrezione. Il segno della resurrezione di Cristo, in quanto segno, è pur sempre lievito, paganesimo, compensazione.

Noi completiamo le sofferenze che Gesù non ha patito nella carne: quella coniugale, quella del pentimento etc. Egli completa, nella pienezza del suo sacrificio, l’insufficienza delle nostre.
Così egli dà alle nostre l’universalità attraverso la partecipazione, noi diamo alla sua le nostre particolarità attraverso l’oscillazione della scelta.
L’albero della vita e l’albero della conoscenza si avviano in tal modo a riconciliarsi in infinitum.

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