Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 4 marzo 2010

La forma universal di questo nodo



Letto il saggio di Florenskij Gli Immaginari in geometria. San Pavel (così devo chiamarlo) vi espone e argomenta l’intuizione secondo cui il cosmo aristotelico-tolemaico della Divina Commedia non sarebbe una sfera (tridimensionale), ma un’ipersfera (quadridimensionale), “la figura formata dalla riunione di due sfere piene (...) tangenti in qualsiasi punto della loro superficie” (H.-R. Patapievici). Così troverebbero una spiegazione nitidamente razionale molti snodi e passaggi – vere svolte e virate spazio-temporali – del poema che altrimenti, in uno spazio fisico forzato a coincidere con quello euclideo, sarebbero delle rotture fantastiche rinvianti a una necessaria ma invadente prospettiva allegorica; e, soprattutto, così Dante, lungi dall’essere arretrato rispetto a Copernico, risulterebbe addirittura avanzato rispetto ad Einstein. Dopo la lettura, m’è venuta un’idea piccola, semplice e sconvolgente – un sospetto di quelli che arridono dopo aver deciso di chiudere un’indagine disperata: forse tutte le incongruenze, tutti i presunti errori degli antichi non sono altro che le incongruenze e gli errori della nostra misurazione; noi, tridimensionali, appiattiti per oscura volizione e oscura conoscenza sulla mera mortalità, non abbiamo quasi più i sensi per la quarta dimensione, la dimensione del tempo e dell’anima, e così la nostra griglia, applicata sul volto integro dell’icona, lascia sempre fuori i lineamenti decisivi per coglierne l’espressione, è sempre elusa e delusa: e noi interpretiamo questa incommensurabilità come irrazionalità. Approssimativi e lacunosi, reperiamo ovunque nel passato le nostre lacune, le nostre approssimazioni.

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