Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 22 marzo 2010

Pensieri di Abramo nella notte


Quando Dio ebbe parlato, Abramo pensò: “Ah, già”: quasi una risposta stanca e dura all’“Eccomi!” di pochi istanti prima. Non provò orrore, né sorpresa: o meglio, il suo orrore e la sua sorpresa erano limitati, misurati, e non avevano per oggetto l’ordine appena formulato, ma la sua contraddizione con la promessa della polvere della terra, la promessa della discendenza. Poi la sorpresa si spense come un lucignolo: tutti gli dei sono gelosi, tutti gli dei vogliono riavere indietro tutto, essere tutto, perché il mio dovrebbe fare differenza? Eppure, quella promessa... È stato pur sempre lui a farmela: se ho ascoltato la sua parola di stanotte, devo ascoltare, e riascoltare, anche quella del passato. Certo, certo, da lui m’è venuto l’impossibile primogenito, a lui ritornerà, in questo modo così impossibile, così comune. Quante volte ne ho sentito parlare... C’è persino chi l’ha fatto in piazza, alla luce del sole – ma io non sono un re, un condottiero, sono un poveraccio, chi l’avrebbe creduto che sarebbe capitato anche a me. E di notte, ma non in sogno: bocca a orecchio, però al buio. Ma sì, sì. E quella promessa, quella polvere della terra? Ma non capisci? Il miracolo, il riso ferito della mia sposa, tutto è stato per questo, perché il nomade sapesse rinunciare anche alla sua tenda, anche al pezzetto di terra feconda su cui poggia i piedi per qualche ora, per qualche notte. Già – chi sei tu, se non uno che ascolta voci – voci notturne, voci di veglia tenebrosa, di sogno lucido, senza onirocriti fuori dalla porta, senza auspici incisi sulla faccia delle cose, nei movimenti degli animali, degli astri, della storia. “Padre di molti” – Av ram, o tu che m’hai generato, dolce, piccolo, sensato fabbricatore di statue, com’eri più aperto e ordinato del tuo figliolo senza casa! Com’eri sapiente, com’eri ignorante, com’eri uomo. La mia integrità è uno squarcio nel petto, la mia astuzia un’operazione segreta, senza congedo, al servizio di un sovrano esiliato. Un sovrano che mi chiede tutto, banalità e miracolo, tenda e inquietudine, e che tutto mi promette, mi sciorina davanti, mi porge con la dolcezza di un fratello vinto da rimorsi, educato alla pace da lunghe sciagure. E io devo tenere insieme tutto, non posso permettermi altro. Oh, il nero fuoco dell’alba: manca poco. L’asino, la legna, i servi. Ah già, il coltello. E lui stesso provvederà ciò che serve per il mio, per il tuo sacrificio.

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