Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



mercoledì 24 marzo 2010

Davanti a fotografie di volti e corpi devastati dalle armi durante le guerre


a tutti i feriti e i mutilati, chiedendo loro perdono

Blepo...
sarka ek psychês kremamenen...
[Vedo...la carne appesa all’anima...]
VALENTINO GNOSTICO

Un ferito è più
di un morto: non lo sapevo.
Chi è morto come una ruga di luce
benedice la morte, la dice bene,
la fa dicibile per chi muore,
per chi muore nel polso
del proprio desiderio,
per chi muore al proprio sguardo
in un volto di luce
difficile da portare, come un amore
alla fine dell’infanzia.

Ma guardare un ferito è riguardarlo
e non poterlo essere nemmeno
nella tenda del silenzio, nell’ogiva
radiante del pensiero: vedere un ferito,
il volto di un ferito riplasmato
da una scheggia che vola sapiente
dove deve volare, ricreato
in spelonche fantastiche, in ardite
forme di vegetazione
dimenticata, in disegni inauditi
dal breve giorno dell’Eden, e già attesi
e conosciuti e portati e inalati
e inseriti ed esplorati nel corpo
di Dio, tutto pensiero. Guardare
lo posso anch’io, come sono. Conoscere
è abbastanza, non ce la faccio.
La misura di un braccio mozzato
nel punto dove mai sospetteresti,
il limite e la forma di quel tronco
che ha viaggiato attraverso molti cieli,
balza per balza, tutto questo ora
lo guardo, ed è abbastanza
per un Dio ed un uomo.

Aspetto. Prego in un’immagine
mia follemente intera, secondo
la follia dello specchio.

Aspetto
in preghiera d’indegno la dignità
celeste di quel corpo, di quel volto
orientati al Messia
come il cavo dell’abside, rifatti
precisamente
dal cesello del Regno.

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