Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 25 marzo 2010

Tu quid dicis de te ipso?


A Nicodemo, R. Gamliel ed Elia Benamozegh

Fra lo sbandarsi della folla il vecchio parush si avvicinò lentamente, ma con qualcosa di ansioso e anelante nell’andatura, al giovane predicatore. Yeshua‛ il Nazareno stava seduto su una pietra bianchissima, poco fuori il cortile della sinagoga. Il suo volto, infuocato e quieto insieme, non tradiva, all’attento esame del parush, né la smorfia di gravità del dottore, né le stigmate inconfondibili del fanatico. Portava i capelli lunghi, come nazirei ed esseni erranti; aveva il taled sulle spalle, ma niente sul capo. La sua figura era magra, alta, violenta. Il vecchio si accostò non visto al suo volto e prese a dirgli, piano ma aspramente: “Perché riveli i segreti della Torah allo ‛am ha-aretz?[1] Non hai detto, tu stesso, che è come gettare pietre preziose a cani e maiali? Oppure ho sentito male? Fammi capire, figlio mio, perché vedo che non vuoi farti falso messia come tanti altri, i pazzi. Tu sei giusto e dotto. A quali santi piedi hai studiato?”.
Yeshua‛ guardava la terra, la polvere dello spiazzo. “Vecchio – rispose – quest’uomo non è solo un maestro. Puoi pensare che sia un pastore, ma non è solo un pastore, né solo un martire. Tu sei un vero israelita; quest’uomo è un vero uomo, come l’Uomo che uscì dalle mani del Nome puro e santo. Il Nome è padre mio, e padre di tutti i figli d’uomo; ma quest’uomo ha sentito, dalla bocca stessa del Nome, in un sussurro, che è la testa e il cuore della generazione e del mondo; che è il figlio del compiacimento, l’unico che possa fare ciò che ora va fatto, insegnare ciò che ora va insegnato, raccogliere ciò che ora va raccolto: perché il Nome santo ha bisogno del figlio dell’uomo per essere santificato. Ha egli il diritto di sottrarsi alla propria manifestazione, al proprio giogo? Come Yonah, sarebbe raggiunto in ogni caso dai giudizi del Nome. I maestri che ho seguito, fra i dottori del Sud,[2] mi hanno insegnato all’orecchio che l’Uomo e ogni uomo è figlio e cuore e fondamento; ma dal Padre stesso ho ascoltato che solo il figlio del compiacimento può davvero fare che la volontà sia fatta, e lasciare che il mondo sia giudicato dalla verità. Accada quel che il Nome solo crede. Il Figlio è più del messia”.
“Queste cose – obiettò immediatamente il parush – vanno dette e negate a un tempo, sono fuoco di Elohim! Attento, figlio mio, perché il vino della Torah è per il mondo che viene, e in questo mondo trabocca e distrugge gli otri e le gole, dà troppo dolore insieme con la gioia! I piccoli d’Israele vanno nutriti con latte e tenerume, non con lo stesso cibo dei pastori! Ma vedo bene ora – e qui stornò lo sguardo con compassione e disgusto – che tu sei troppo giovane, e troppo sai per sapere abbastanza! Tu non puoi credere d’esser profeta, certo; i profeti non portano in piazza le Dottrine Non Scritte, le applicano, ma piuttosto nella loro povera e potente mutezza che nel grido dei loro oracoli!”. Esitò prima di concludere con voce rotta: “Come puoi non capire che, se riveli il segreto sui tetti, se porgi il calice del vino ai piccoli, quelli si attaccheranno alla tua anima e al tuo corpo; e non come discepoli a un maestro, ma come tementi a un dio, e peccheranno d’idolatria al pari delle nazioni!”.
Mentre il parush sentiva le membra distendersi e raffreddarsi dopo il concitato rimprovero, il giovane predicatore della Galilea delle genti prese a dire come in un soffio, con una fermezza simile al puro silenzio: “Forse, vecchio, tu ami Eretz, la Terra, più della Torah predestinata a crescervi. Non so chi, fra me e te, allontani i piedi del messia. Il messia viene ora, fra me e te, se ce ne dimentichiamo davvero, e se ricordiamo senza incatenarci alla misericordia dei padri. Il corpo e l’anima sono un sacrificio; appartengono al mondo. Un sacrificio di pacificazione porta i piccoli in piazza. Il sacrificio di pacificazione mette in conto tutto, anche l’errore, anche l’impurità”.
Pareva adesso turbato dall’intimo squarcio, imprevisto. Neanche lui sentì se diceva le parole successive con ironia, oppure con rapidissima angoscia: “Dunque sono troppo giovane e sapiente?”.
Si alzò, mosse verso le porte della sinagoga per Minchah.[3] Lo seguì a distanza la bianca reliquia ebraica, l’esoterista, col capo oppresso dalla meditazione e dalla delicatezza, aggiustandosi rotondamente il taled, allacciandosi con cura principesca, e un tremito sempre nuovo, i lunghi tefillin.


Note:

[1] “Gente della terra”: sono gli ‘ignoranti’, coloro che non studiano la Torah. Forse viene di qui il kafkiano “uomo di campagna”.
[2] Secondo E. Benamozegh sono gli esseni (cfr Storia degli Esseni, Le Monnier, Firenze, 1865).
[3] Il servizio pomeridiano.

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