Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



mercoledì 17 marzo 2010

Ai margini/2


Il cacciatore Gracco, la storia dell’uomo che non poteva morire, è l’unica pagina della letteratura sacra ch’io riesca a capire. Forse è questo il problema, che riesco a capirla. Ma non è Scrittura, è un midrash, un commento umano ispirato, anche se è tutto trasparente al libro di Dio, e sta ai suoi margini sin dal principio. Il Testo Sacro ha una durezza, una ruvidezza, una scabrosità destinata a trafiggere, a crocifiggere chi lo accosti come verrebbe spontaneo fare – prendendolo sulle spalle. E un midrash come quello di Franz allontana e porge la croce: se l’interprete è stato realmente crocifisso, attraversato dal versetto del libro, può svolgere per noi questo ambiguo ufficio angelico. L’uomo che non può morire, il cacciatore di verità fluttuante nel tempo intermedio, apparentemente illimitato, dell’attesa della verità, è l’uomo che non può convertirsi nel senso proprio, ordinario e forte, del termine: non l’uomo che non sa metanoia, che non si trasforma, perché il suo destino di mediazione tutta offerta e tutta impossibile, irreperibile, è anzi una continua metanoia e trasformazione; ma lo sradicato dalla vita e dalla morte che non ha nemmeno la possibilità di indugiare, di accamparsi, zingaro, nel suo sradicamento: lo sradicato che Dio non fa respirare, come Giobbe, perché deve testimoniare con la propria condizione la condizione di molti, forse di tutti, e non ha altro che la dolcezza quasi diabolica di chi acconsente a non acconsentire, luce di sorriso davvero fuori dal mondo, fuori da tutto, luce di maledizione che è divinamente costretta a non essere peccato, a non riposarsi nel peccato.

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